Che cosa si è ottenuto scioperando 40 giorni di fila contro un’azienda multinazionale il cui secondo maggior azionista è il sindacato che ha indetto lo sciopero? La domanda è legittima. Se la sono posta, su Facebook, alcuni operai della General Motors (GM) americana guardando l’accordo contrattuale sottoscritto dal sindacato United Auto Workers (UAW) alla fine di ottobre.
Lo scenario
A metà settembre sono scaduti i contratti aziendali delle Big Three, le tre principali aziende automobilistiche americane: General Motors, Ford e Fiat-Chrysler Automobiles (FCA). La strategia del sindacato unico UAW – negli Usa non sono ammessi più sindacati nella stessa fabbrica ‒ è quella di scegliere di volta in volta l’azienda in cui si firmerà l’accordo pilota da applicare poi nelle altre due. Gli iscritti all’UAW nelle tre fabbriche sono circa 150 mila, praticamente quasi tutti gli addetti negli Stati Uniti, su un totale di 390 mila aderenti al sindacato. Una forza d’urto in teoria considerevole se si guarda solo ai numeri e a un tasso di sindacalizzazione di oltre il 90%. Un conto però sono i numeri e le percentuali, un altro sono la struttura, il funzionamento e la volontà del sindacato di avanzare rivendicazioni e produrre conflitto. Non è mai un rapporto lineare e il caso americano ne è un esempio perché nei fatti, in base ad accordi tra sindacato e Big Three, c’è l’obbligo di iscriversi all’unico sindacato riconosciuto.
Un sindacato che è controllato dall’Administration Caucus. Si tratta di un gruppo organizzato di potere interno che decide e gestisce la composizione dei gruppi dirigenti nazionali e regionali dalla fine degli anni ’40, cioè da quando Walter Reuther divenne presidente dell’UAW, rimase in carica fino alla morte nel 1970, e organizzò una gigantesca caccia alle streghe interna espellendo gli operai comunisti o sospettati di esserlo. Oggi tutto il Comitato Esecutivo e la quasi totalità dei funzionari, politici e tecnici, del sindacato appartiene all’Administration Caucus. In più di 70 anni, dal 1947 ad oggi, i gruppi di lavoratori che ai congressi nazionali si sono battuti per una democrazia interna trasparente, contestando il potere assoluto dell’Administration Caucus, non hanno mai ottenuto più del 4% dei consensi. Coloro che hanno fatto queste battaglie democratiche alla fine dei congressi sono stati per la maggior parte espulsi, allontanati e in non pochi casi anche licenziati dalle aziende. È l’Administration Caucus il vero potere del sindacato, non i gruppi dirigenti eletti e meno che mai i lavoratori. Esso è il luogo in cui si intrecciano i rapporti con il Partito Democratico e i consigli di amministrazione delle aziende, dove si decidono le strategie di investimento della Voluntary Employee Beneficiary Association (VEBA), la società finanziaria di welfare aziendale dell’UAW nonché secondo maggior azionista della General Motors. Nella sostanza il potere del sindacato è esterno alla struttura formale dello stesso e ne decide il funzionamento, le gerarchie e le scelte.
Nell’agosto del 2017 l’FBI, su input proveniente dall’interno dell’Amministrazione Trump, si mette a indagare sui Centri di formazione professionale gestiti congiuntamente dall’UAW e dalle tre case automobilistiche. Nelle reazioni di molta sinistra americana, anche «radicale», si grida al complotto contro il sindacato e la classe operaia. Nel giro di tre mesi arrivano le prime incriminazioni, diventate oggi condanne definitive, per tangenti e corruzione nei confronti di due direttori della Fiat-Chrysler e di tre funzionari dell’UAW. Nel dicembre del 2017 Joe Ashton, rappresentante della società finanziaria dell’UAW nel Consiglio di amministrazione della General Motors, si dimette improvvisamente, senza spiegazioni e non viene sostituito dal sindacato, lasciando vacante la carica. L’inchiesta si allarga fino ad arrivare nell’agosto del 2019 alla perquisizione delle abitazioni degli ultimi due Presidenti dell’UAW e all’incriminazione di quasi tutto il Comitato Esecutivo del sindacato. Alle accuse si aggiungono l’appropriazione indebita di fondi sindacali per svariati milioni di dollari e tangenti pagate dalla Ford e dalla General Motors in cambio di accordi aziendali vantaggiosi in vari siti produttivi delle due aziende. L’inchiesta, partita con l’intenzione di colpire qualche funzionario sindacale, scoperchia il mondo corrotto delle relazioni industriali tra sindacato e Big Three sfuggendo di mano agli stessi ideatori. Il motivo è semplice: i primi arrestati della Fiat-Chrysler e dell’UAW si sono messi a parlare fornendo nomi, cifre, luoghi per avere riduzioni della pena. La scadenza dei contratti quadriennali delle tre aziende si avvicina e bisogna dunque inventarsi qualcosa per evitare il commissariamento, e quindi il fallimento finanziario, del sindacato come prevede la legge americana.
Lo sciopero
Negli ultimi tre anni, secondo i dati ufficiali, i profitti della General Motors sono stati di 35 miliardi di dollari, quelli della Ford di 26 miliardi e quelli della Fiat-Chrysler di 15 miliardi. Cifre che permetterebbero di avviare una contrattazione favorevole ai lavoratori da un punto di vista salariale, per la stabilizzazione dei lavoratori precari e per nuove assunzioni. I contratti quadriennali delle tre aziende scadono il 15 settembre e il giorno dopo l’UAW indice uno sciopero a tempo indeterminato nei 55 siti produttivi americani della General Motors senza presentare una piattaforma rivendicativa. Da molti mesi la General Motors si era preparata all’eventualità di essere individuata come l’azienda per il contratto pilota e aveva infatti accumulato scorte per un’ottantina di giorni. Nel dicembre del 2018 aveva avviato la procedura per chiudere 3 fabbriche e un grande impianto di stoccaggio negli Usa senza che il sindacato reagisse in alcun modo nonostante la violazione del contratto del 2015. La General Motors alcuni giorni prima della scadenza del contratto presenta all’UAW una proposta di accordo ed è su quella che si aprono i 18 tavoli tematici e uno generale di trattativa.
Centinaia di negoziatori da entrambe le parti sono coinvolti dando vita a una spettacolarizzazione mediatica del negoziato con fughe di notizie su possibili accordi, improvvise rotture senza motivazioni comprensibili. Intanto i lavoratori della General Motors picchettano gli impianti, in genere collocati in zone poco abitate, senza che il sindacato convochi manifestazioni centrali né tanto meno coinvolga anche i lavoratori della Ford e della Fiat Chrysler. È una lotta in perfetta solitudine dei lavoratori della General Motors che assistono, i primi giorni dello sciopero, alla sfilata davanti ai cancelli di alcuni candidati alle primarie democratiche ‒ come Joe Biden, Bernie Sanders ed Elisabeth Warren ‒ e poi di sparuti gruppi di militanti di sinistra. Non viene promossa e costruita alcuna solidarietà ai lavoratori in sciopero che resistono con i 275 dollari settimanali pagati dal sindacato. L’UAW non cerca la solidarietà e nemmeno la esprime nei confronti dei lavoratori canadesi e messicani della General Motors che nelle settimane dello sciopero vengono licenziati «provvisoriamente». Anzi rimane in silenzio persino davanti al licenziamento definitivo di alcuni lavoratori messicani dell’impianto di Silao della General Motors che avevano inviato una lettera di sostegno allo sciopero e si erano rifiutati di fare gli straordinari imposti per limitare l’arresto della produzione delle fabbriche statunitensi. Alla quinta settimana di sciopero alcune decine di lavoratori dell’impianto di Spring Hill, esasperati dalla mancanza di notizie certe sui contenuti del probabile accordo, si recano alla sede locale del sindacato per chiedere spiegazioni. Le uniche notizie le hanno leggendo i giornali locali di Detroit o guardando i siti allineati con l’azienda. I funzionari sindacali presenti non forniscono spiegazioni e chiamano la polizia per far sgomberare la sede. All’interno del sindacato e nemmeno nella sinistra americana si registrano reazioni significative di fronte a un atto a dir poco autoritario. I lavoratori della General Motors sono soli e l’UAW fa di tutto per renderli ancora più soli. La rabbia e il dissenso si possono leggere solo sui profili Facebook di alcuni gruppi di lavoratori.
Gli accordi
Dopo 40 giorni di sciopero viene firmato il contratto quadriennale tra General Motors e UAW che deve essere approvato dalla maggioranza dei lavoratori entro cinque giorni. Il giorno successivo alla firma il sindacato mette in rete uno striminzito prospetto dei contenuti sorvolando sugli aspetti negativi o solo controversi. Due giorni dopo la General Motors mette in rete le 350 pagine del contratto sottoscritto e si capisce che in gran parte coincide con la proposta che aveva fatto prima che iniziasse lo sciopero. Le fabbriche già individuate dalla General Motors nel dicembre del 2018 verranno chiuse, non c’è alcuna certezza di assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori precari che hanno anche un salario inferiore del 35% rispetto ai lavoratori stabili, pur svolgendo le stesse mansioni. Rimangono inalterati i 10 livelli salariali. C’è la completa subordinazione al Global Manufacturing System, il sistema di organizzazione e controllo del lavoro reso omogeneo in tutti i siti produttivi, di stoccaggio e di vendita a livello mondiale che prevede anche l’uso di droni all’interno degli impianti. Gli incrementi salariali sono del 3% per due anni e del 4 % negli altri due. La General Motors si impegna, senza indicare tempi e modi, a investire 9 miliardi di dollari nei prossimi 4 anni. Il Centro di formazione professionale UAW-GM, al centro dell’inchiesta del FBI, verrà chiuso e la General Motors si incarica di trovare la sede per un nuovo Centro di formazione. Ai lavoratori a tempo indeterminato verrà distribuito un bonus una tantum di 11 mila dollari e ai lavoratori precari di 4.500 dollari. L’unica vera differenza con la proposta iniziale della General Motors è l’ammontare del bonus che era previsto rispettivamente di 8 mila dollari per i lavoratori stabili e di 3 mila dollari per i precari. Alla votazione partecipa l’85% dei lavoratori e il contratto è approvato con il 54% dei consensi.
Una volta sottoscritto e approvato il contratto alla General Motors il sindacato apre la trattativa con la Ford. Una trattativa breve senza un’ora di sciopero con un accordo ricalca quello della General Motors. Non c’è la chiusura di impianti e il bonus è inferiore: 9 mila dollari per i lavoratori a tempo pieno e 3.500 per i precari. Alla votazione partecipa il 65% dei lavoratori e il contratto viene approvato dal 56%. Manca solo l’accordo con la Fiat-Chrysler che dovrebbe seguire lo stesso copione della Ford, ma avviene un fatto imprevisto. Il 20 novembre mentre la Fiat-Chrysler è impegnata nella trattativa contrattuale con l’UAW e negli incontri con la Peugeot-Citroen (PSA) per la fusione delle due aziende, la General Motors si rivolge a un Tribunale federale presentando una denuncia contro la Fiat-Chrysler per corruzione del sindacato UAW nei contratti dal 2009 al 2015. Alla notizia il presidente dell’UAW Gary Jones, già sotto inchiesta per tangenti e appropriazione indebita di fondi sindacali, si dimette. Il dossier che la General Motors presenta alla magistratura contiene accuse circostanziate a Marchionne in quanto principale responsabile della corruzione. Secondo la General Motors gli ultimi tre contratti stipulati tra FCA e sindacato violano la concorrenza perché il costo del lavoro alla FCA è di 8 dollari all’ora inferiore rispetto a quello della GM, perché alla FCA i lavoratori temporanei sono in una percentuale tripla rispetto alle altre due aziende automobilistiche e nel 2009 il pacchetto azionario della Fiat-Chrysler in mano alla finanziaria del sindacato – il 41% del totale delle azioni dell’azienda – è stato ceduto alla Fiat di Marchionne con un’operazione poco trasparente.
La tempistica della denuncia della General Motors non è casuale: attaccare un concorrente che con la fusione con la PSA sta diventando troppo forte e cercare di condizionare la trattativa con il sindacato. L’accusa della GM alla FCA di aver corrotto il sindacato è quanto meno ridicola, non certo per essere infondata, ma perché proviene da una azienda che ha come azionista importante lo stesso sindacato con cui in questi anni ha cogestito un Centro di Formazione che era il luogo del pagamento «legale» delle tangenti e dello scambio di favori. L’azione della General Motors non produce, per ora, grandi effetti e l’accordo tra Fiat-Chrysler e UAW viene sottoscritto il 30 novembre. I contenuti solo in parte sono simili a quelli degli accordi con GM e Ford. Non ci sono chiusure di fabbriche e il bonus una tantum è della stessa entità di quello della Ford e anche in questo caso è prevista la chiusura del Centro di Formazione professionale, ma le sue risorse finanziarie verranno trasferite in due fondi fiduciari che continueranno a svolgere «attività di formazione congiunte» per implementare il sistema WCM di organizzazione del lavoro e controllo dei lavoratori. Non c’è alcun impegno, nemmeno formale, per stabilizzare i lavoratori precari. Anzi non si pone alcun limite percentuale al loro utilizzo. Le circa mille pagine dell’accordo contrattuale sono messe in votazione nella prima settimana di dicembre e il 71% dei votanti approva. Il dato significativo è l’astensione di massa: solo il 38% dei lavoratori ha votato. Ha pesato certamente la sfiducia nei confronti di un sindacato che ha gran parte del gruppo dirigente incriminato e la vicenda del contratto del 2015 che fu bocciato dalla maggioranza dei lavoratori costringendo l’UAW a ritornare al tavolo di trattativa. Passò alla seconda votazione mediante ricatti e brogli che vennero denunciati in un libro bianco curato da un gruppo di lavoratori.
Il sindacato-imprenditore
L’ United Auto Workers non è più da decenni il sindacato dei 400 mila iscritti alla General Motors che nel 1970 fecero 67 giorni di sciopero ottenendo forti aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni di lavoro. Anche se bisogna subito aggiungere, per non cadere nella mitologia, che allora come oggi era controllato dall’Administration Caucus. La spinta di base era comunque considerevole ed il gruppo di potere interno era costretto a tenerne conto. Tre episodi segnarono la chiusura violenta di quella fase. A cavallo tra il 1972 e il 1973 nelle fabbriche automobilistiche di Detroit nacque una serie di collettivi di base formati soprattutto da operai afroamericani. Alcuni di questi riuscirono a radicarsi nei luoghi di lavoro e ad avere un notevole seguito tra i lavoratori. Cambiò il modo di lottare e intendere il conflitto nelle fabbriche, le decisioni si prendevano nelle assemblee di reparto e le trattative erano gestite dai lavoratori in prima persona. Lo sciopero a gatto selvaggio – sciopero improvviso in un punto strategico della catena di montaggio in modi e tempi non prevedibili ‒ divenne il tratto distintivo di questi lavoratori che non si riconoscevano nell’ideologia produttivista e un po’ razzista del classico operaio bianco iscritto al sindacato. Alla Chrysler di Mack Avenue a Detroit con gli scioperi a gatto selvaggio si ottennero salari più alti, una riduzione delle disuguaglianze tra operai neri e bianchi mettendo in crisi l’UAW e prospettando un’alternativa al sindacato unico. Il 15 agosto del 1973 la polizia e le guardie della sicurezza interna della Chrysler tentarono, senza riuscirci, di interrompere gli scioperi. Il mattino dopo ai cancelli si presentarono un migliaio di funzionari dell’UAW armati di mazze di baseball e sbarre di ferro, alcuni anche con delle pistole bene in vista, e attaccarono gli operai in sciopero. L’azione venne ripetuta il giorno dopo. Ci furono numerosi feriti tra gli operai afroamericani, lo sciopero terminò e i collettivi di base della Chrysler furono espulsi dalla fabbrica. Con il sostegno della direzione nazionale del sindacato, la Chrysler licenziò 91 lavoratori e impose sanzioni disciplinari nei confronti di altre centinaia.
La direzione dell’UAW intervenne anche l’anno successivo per stroncare uno sciopero a gatto selvaggio dichiarato nella fabbrica di camion della Dodge per opporsi al licenziamento di parecchi operai tra i più attivi nelle lotte. L’arma utilizzata questa volta fu il «tribunale mobile»: un funzionario del sindacato conduceva un camion sulla cui piattaforma un giudice itinerante ordinava l’arresto immediato di qualsiasi lavoratore partecipante a un picchetto di sciopero qualora si rifiutasse di allontanarsi dai cancelli della fabbrica. I funzionari sindacali indicavano gli operai da arrestare e licenziare. Nel 1976 alla General Motors di Fleetwood i delegati sindacali della fabbrica proclamarono uno sciopero in seguito al licenziamento del presidente della sezione sindacale e di un altro responsabile sindacale. Dopo due giorni di sciopero l’Administration Caucus mandò alcune centinaia di funzionari sindacali davanti ai cancelli che, ostentando le loro armi, minacciarono tutti quelli che si rifiutavano di entrare facendo in questo modo fallire lo sciopero. Quasi 500 lavoratori subirono sanzioni per lo sciopero, alcune decine furono licenziati in base a un accordo tra il sindacato e l’azienda. Il messaggio fu chiaro: le alternative al sindacato saranno attaccate e il dissenso interno represso.
Oggi l’UAW non usa metodi violenti quando viene messa in discussione, agisce con gli strumenti tipici di un’impresa. Premia con maggior welfare aziendale i lavoratori più fedeli e penalizza con meno servizi chi esprime dissenso. Ma la situazione è ulteriormente peggiorata negli ultimi due anni con l’apertura dell’inchiesta dell’FBI. I lavoratori della General Motors sono stati costretti a scioperare per 40 giorni senza ottenere nulla se non di peggiorare le condizioni di partenza per impedire il commissariamento del sindacato. Avrebbero perso l’assicurazione sanitaria e una serie di altri servizi. Durante lo sciopero si è sentita anche la pressione dei pensionati dell’UAW perché in caso di commissariamento il sindacato sarebbe stato sollevato anche dalla gestione della propria società finanziaria rendendo ancora più incerto il futuro di 860 mila pensionati. Come sempre più spesso succede si accettano riduzioni di salario e perdita di diritti per salvare un’azienda e il posto di lavoro, il sindacato-imprenditore fa scioperare i propri aderenti per salvare se stesso. Ai lavoratori non è rimasto nient’altro che organizzarsi sui social network per votare contro i contratti sottoscritti o astenersi in massa per esprimere il proprio dissenso. Almeno fino ad ora.
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