giovedì 22 aprile 2021

GIORNATA DELLA TERRA. F. RAMPINI, Quando l'America di Nixon scoprì l'ambientalismo, REPUBBLICA, 22 aprile 2021

 NEW YORK.  Il movimento ambientale americano ha dei pionieri illustri: nell’Ottocento, Henry David Thoreau e John Muir furono tra i teorici di quello che allora si chiamava “conservazionismo”. Influenzarono i due presidenti-cugini, Theodore e Franklin Roosevelt, ambedue attivi nella creazione di parchi nazionali e nella tutela delle terre sotto giurisdizione federale. Ma l’ambientalismo moderno è una creatura degli anni Sessanta. Convergono a farlo nascere negli Stati Uniti tre fattori. In primo luogo alcuni episodi d’inquinamento grave (anche in seguito ai test nucleari) vedono reagire una società civile più sensibile. In secondo luogo, la rivoluzione culturale giovanile – culminata nella Summer of Love di San Francisco nel 1967 – ha una forte componente naturalistica, riscopre i “nativi” (quelli che un tempo chiamavamo indiani d’America) come un modello di attenzione all’ecosistema.





In terzo luogo c’è il contributo degli scienziati: è nella seconda metà degli anni Sessanta che cominciano a maturare al Massachusetts Institute of Technology e in altre università d’eccellenza le teorie sui “limiti dello sviluppo”. Coincidono con scenari apocalittici – ispirati al pensiero malthusiano – sulla “bomba demografica” e l’impossibilità di sfamare un pianeta sovrappopolato; l’esaurimento irreversibile di risorse naturali; i danni dell’inquinamento per la salute. L’ambientalismo americano degli anni Sessanta incrocia altre due rivoluzioni valoriali e di costume, il consumerismo (tutela dei diritti dei consumatori) e il salutismo ispirato anche ai nuovi stili di vita della New Age sulla West Coast. Il paradosso è che a raccogliere questi impulsi dal basso – e dal mondo scientifico – per trasformarli in riforme politiche, nuove regole e nuove istituzioni, è un presidente repubblicano: Richard Nixon. La sua fama è macchiata per sempre dallo scandalo del Watergate che ne segna la caduta; nonché da crimini come il bombardamento illegale della Cambogia in una guerra non dichiarata (effetto collaterale dell’escalation militare in Vietnam).


Eppure lo stesso presidente che ordina l’uso massiccio dell’agente defoliante napalm nella penisola indocinese, a casa propria crea nel 1970 la Environmental Protection Agency (Epa), l’authority per la tutela dell’ambiente destinata a diventare un modello mondiale. Una premessa era stata l’approvazione al Congresso del Clean Air Act sotto il presidente democratico John Kennedy nel 1963: la prima legislazione veramente avanzata per combattere l’inquinamento atmosferico. Però è solo con la creazione dell’Epa da parte di Nixon che il Clean Air Act acquista “i denti”, l’autorità per mordere, vigilare sul rispetto delle norme, sanzionare le violazioni.

La scelta di concentrare poteri di regolazione e controllo in capo a un’istituzione tecnocratica, con una forte cultura scientifica, e (relativamente) protetta dalle ingerenze politiche, si è rivelata lungimirante e nel lungo periodo ha consentito delle avanzate importanti. Per esempio, la riduzione dello smog da traffico automobilistico grazie alle marmitte catalitiche consentì di vedere cieli azzurri a Los Angeles, metropoli che era diventata un inferno irrespirabile negli anni Sessanta. La preveggenza di Nixon fu premiata dagli eventi successivi: i due shock petroliferi degli anni Settanta fecero entrare nella coscienza collettiva degli americani il dubbio sulla sostenibilità economica – oltre che ambientale – del capitalismo fossile. A quell’epoca l’ambientalismo era molto meno influenzato di oggi dalla contrapposizione fra democratici e repubblicani. È ancora a Nixon che bisogna far risalire però un’altra scelta gravida di conseguenze: l’apertura alla Cina, dettata da ragioni geostrategiche, pose le premesse per l’ascesa di quella che mezzo secolo dopo è diventata la “superpotenza carbonica” numero uno.

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