Il licenziamento di circa 3.250 lavoratori di Twitter da parte di Elon Musk rievoca un episodio già visto nella storia del tech. Nel 1997 Apple si trovava in crisi e Steve Jobs tornò nell’azienda che lui stesso aveva contribuito a creare nei panni del consulente. In pochi mesi Apple accettò di licenziare 4.100 dipendenti in tronco.
Steve Jobs non rappresenta certo un modello morale a cui ispirarsi, vista la leadership tossica che lo ha reso celebre nella Silicon Valley. Ma considerando che Apple oggi ha un fatturato annuale di quasi 400 miliardi di dollari ci sono gli elementi per sospettare che Jobs, all’epoca, sia riuscito a riportare l’azienda in carreggiata.
La situazione di Apple nel 1997 era simile a quella odierna di Twitter. Uno, si percepì un forte senso di urgenza nel dover risollevare le sorti dell’azienda. Due, il nuovo leader, severo ma pragmatico, prese decisioni drastiche per salvaguardare il business. Tre, si riportò il focus sul cliente finale prima che sulla tecnologia interna.
A chiunque accusi Elon Musk di inumanità è bene sottolineare che la situazione finanziaria in cui si trova Twitter non lascia reali alternative. L’azienda perde infatti circa 4 milioni di dollari al giorno. Si segnala inoltre che lo stesso Jack Dorsey, ex Ceo e Founder di Twitter, si è pubblicamente assunto la responsabilità per i licenziamenti.
“Ho fatto crescere le dimensioni dell’azienda troppo velocemente“. Elon Musk ha acquistato l’azienda anche e soprattutto per riportarla sui binari comprendendo che la vecchia leadership non avesse avuto il polso e la visione per farlo. E lo stesso founder di Twitter ha riconosciuto che i dipendenti fossero troppi.
Altrettanto importante è comprendere lo scenario di riferimento. I dipendenti licenziati da Twitter non sono operai over 50 liquidati da una fabbrica e buttati per strada senza alcuna possibilità di reinserimento nel mercato lavorativo. Sono professionisti del settore tech che riceveranno altri 3 mesi di stipendio pieno. Lavorano in una delle industrie più floride nel mercato moderno e in più vantano competenze specialistiche relativamente semplici da rivendere sul mercato. Aver lavorato per un’azienda importante come Twitter inoltre non rappresenterà una lettera scarlatta sul loro cv, bensì un punto extra per il loro nuovo datore di lavoro. Fanno sorridere le dichiarazioni di alcuni dipendenti licenziati come Simon Balmain, stupiti nello scoprire che il loro accesso alle email aziendali sia stato revocato. Si tratta di una pratica comune nelle big tech. Qualunque lavoratore, alla fine dell’ultimo giorno di lavoro, perde accesso a tutti i device e canali aziendali.
Insomma, il mondo andrà avanti. Le persone licenziate, a cui auguro il meglio, troveranno il modo di proseguire la propria carriera. Twitter, sebbene non arriverà ai fasti di Apple, si avvicinerà gradualmente alla sostenibilità finanziaria che merita. Perché, incredibile ma vero, per stare in piedi un business ha bisogno di far entrare più soldi di quelli che fa uscire. E anche se sembrava un concetto imprenditoriale scontato, quasi elementare, Elon Musk ha dovuto ribadirlo con una certa fermezza.
I contemporanei per questo lo odieranno. Chissà che i posteri, al contrario, non finiscano per comprenderlo.
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