Lo squillante più 5% di martedì scorso conferma che qualcosa non torna nell’equazione politico ed economica americana. Tra giugno e settembre, proprio nei mesi in cui la ricchezza del Paese tornava a crescere a ritmi tumultuosi, il presidente Barack Obama perdeva consensi fino a subire una secca e inappellabile sconfessione popolare il 5 novembre, nelle elezioni di midterm per il rinnovo del Congresso.
I numeri trionfali sulla crescita diffusi si riferiscono a grandezze medie. Non sappiamo ancora, però, come questa ricchezza aggiuntiva sia stata distribuita tra le diverse fasce dei cittadini. L’America è tra i Paesi che presentano una vistosa polarizzazione. E’ un fenomeno di lunga durata, strutturale e che si può misurare in diversi modi. Ma basta un solo dato: tra il 2000 e il 2010, il 10% della popolazione più ricca disponeva del 45-50% del reddito totale. La discussione ormai storica tra liberisti e neo-keynesiani, o tra repubblicani e democratici, ruota essenzialmente su un punto. Esistono meccanismi automatici, spontanei che consentano alla ricchezza, una volta prodotta, di diffondersi in tutta la società? I neo liberisti, traendo ispirazione dal grande caposcuola Milton Friedman, sostengono di sì e lo definiscono il «trickle down», il «gocciolamento».
Sul fronte opposto economisti come Joseph Stiglitz, Paul Krugman e da ultimo, Thomas Piketty, sostengono di no, che il «trickle down» non funziona. Il governo deve provvedere con interventi correttivi sul piano fiscale e sociale. Ed è questo il problema. Obama, finora, non sembra essere stato in grado di accorciare la forbice delle diseguaglianze creando nell’economia un sistema di redistribuzione del reddito. Il presidente, anche nella conferenza stampa pre-natalizia, ha riconosciuto che «occorre fare qualcosa di più per la classe media e per i meno favoriti». Perché l’area di chi resta ancora escluso dalla «rinascita americana» (parole di Obama) è più ampia di quanto si possa immaginare. Nei primi 9 mesi del 2014 i profitti aziendali sono aumentati del 5,7%, ma l’incremento dei salari e degli stipendi (anche dei lavoratori qualificati) è stato pari all’1,6%. Meno della metà. E inoltre la limitata lievitazione delle buste paga non è bastata a coprire il tasso di inflazione, che a ottobre era pari all’1,7% (oggi è all’1,3%).
In termini economici tutto ciò ha una spiegazione semplice: i guadagni delle imprese sono legati al contenimento del costo del lavoro e alla feroce competizione sui prezzi. La classe media sta spendendo senza riserve il «bonus petrolio» di cui beneficia l’America. I consumi procurano ingenti extra profitti alle imprese, che hanno ripreso ad assumere, ma con salari sempre più compressi e senza distribuire i dividendi legati all’aumento della produttività. Se questa tendenza non verrà corretta, l’America potrà presto azzerare o quasi il tasso di disoccupazione. Ma se l’amministrazione Obama vuole tenere fede alle promesse e alla sua identità politica, dovrà inventarsi qualche strumento di redistribuzione (fiscale o altro) per evitare che con la ricchezza aumentino anche le disuguaglianze.
Nessun commento:
Posta un commento