Non è una bella America quella che Barack Obama consegnerà, tra pochi mesi, al suo successore.
La recente strage di poliziotti bianchi, a Dallas, ad opera di un afroamericano reduce dell’Afghanistan, è diventata la classica punta d’iceberg della grave crisi razziale e sociale di un Paese spaccato a metà, segnato da tensioni e da violenze che sembravano riservate agli archivi e alla memoria, dopo l’elezione, otto anni fa, del primo presidente di colore. Ad uscirne a pezzi è l’idea stessa di un’America finalmente ibrida, fissata nel Presidente-Simbolo, in grado di rappresentare trasversalmente i bianchi ed i neri, le élite intellettuali ed i ceti popolari, le periferie e Wall Street. Obama si trova ad essere contestato sia dal nuovo movimentismo dei neri, con in testa il radicale Black Lives Matter (“Le vite dei neri contano”) sia dal candidato repubblicano Donald Trump, che ha buon gioco a parlare di un’America divisa e di un presidente che vive in un “Paese immaginario”.