martedì 4 luglio 2017

LA GRANDE DEPRESSIONE. E. DEAGLIO, San Francisco. Alla scoperta della Sistina degli operai, LA REPUBBLICA, 26 maggio 2017

SAN FRANCISCO. È un oggetto unico: fuori un po’ Ziggurat, dentro Babele. Svela segreti, comunica passioni. Quando fu costruita, in cima alla più alta delle 42 colline cittadine, era l’edificio più alto del Far West. Dalla cima si potevano vedere i contorni della fine del mondo: la fatale entrata della grande baia, la costa dell’oceano Pacifico, e la città di legno immediatamente risorta dopo un terremoto spettacolare. Trattandosi di oceani, nel piazzale misero una classica statua di Cristoforo Colombo, che però si era fermato sull’Atlantico. Cento anni dopo Colombo, andò su e giù da queste parti lo spregiudicato inglese Sir Francis Drake, ma mancò sempre l’imboccatura, per la troppa nebbia. Nel 1775 ci entrò, per primo, lo spagnolo Juan de Ayala. La nascosta, piccola San Francisco rimase tale fino al 1848, quando sul terreno del signor Sutter, uno svizzero, venne trovata una pepita d’oro. Arrivarono duecentomila desperados che costruirono la città più smodata del mondo. Di lì i beat, i gay, Steve Jobs e Uber.



La torre si chiama Coit Tower, e compare in tutte le cartoline-ricordo. Venne costruita nel 1933, per volere testamentario della signora Lillie Hitchcock Coit, miliardaria eccentrica che morì a Parigi (amava lo champagne bevuto dalla scarpa da ballo), ma non aveva dimenticato la sua gioventù a San Francisco. La nostra Lillie, nei suoi quindici anni si era innamorata dei pompieri, che erano belli, giovani, coraggiosi e sfidavano le fiamme per salvare la città di legno. Diventò la mascotte dell’Engine n.5 – il gruppo che arrivava sempre per primo – fumava il sigaro e giocava a poker con i ragazzi. Come dimenticarli?  Lillie aveva comprato il cucuzzolo di Telegraph Hill e con un terzo del suo patrimonio finanziò un monumento che «aumentasse la bellezza» della sua città. E così nacque, nel 1933, la Coit Tower, in stile Art déco; si specchiava nelle strutture – di titanico realismo socialista – del nascente Golden Gate Bridge.

Coit Tower è in cemento grezzo, di colore grigio ed è alta 64 metri, sui cento metri della collina. Golden Gate, in acciaio colorato in rosso minio, è alto 225 metri sul livello del mare.  Se Golden Gate è l’elegante imene che invita ad entrare nella baia più vaginale del mondo, la Coit Tower – un turgido tronco di cono con scanalature, sormontato da un glande illuminato – è sicuramente un gigantesco simbolo fallico (altri dicono che, più banalmente, in onore di Lillie il monumento riproduca il bocchettone di una manichetta dei pompieri). In mezzo, nell’acqua gelata, l’isola prigione di Alcatraz da cui riuscì ad uscire solo Clint Eastwood. Ci si arriva ansimando – 500 gradini – o percorrendo la famosa Lombard Street, tutta a zig zag e ricoperta di fiori. Lombard Street la si deve a un architetto indiano, che propose di replicarla per tutte le altre ripide colline di San Francisco. (Per fortuna del paesaggio urbano venne fermato dall’invenzione del cable car e poi dell’automobile).

Per quanto riguarda il panorama, poco da dire: pane per i denti di Leopardi. Ma è all’interno, il segreto che vi conquisterà. Tutta la torre è affrescata: un murale continuo che occupa 3.415 metri quadrati su due piani di locali circolari, corridoi, soffitti, trompe l’oeil in una rara esperienza di arte pulsante con la vita reale. Andò così. All’inizio la città aveva pensato di ospitare nella torre un po’ di memorabilia dell’epoca dei pionieri, ma poi venne un’idea più grandiosa. Il Comune partecipò al Progetto federale di arte pubblica, voluto dal governo Roosevelt per dare lavoro a migliaia di artisti, e giornalisti, fotografi, scrittori (il mondo ancora adesso ci campa, su quel progetto). La Coit Tower mise a salario 27 artisti e i loro 18 assistenti. Stile: l’affresco, sull’onda del successo del muralismo messicano di Diego Rivera. Tema: Aspetti della vita in California. Coordinatori, Ralph Stackpole e Bernard Zakheim della locale Accademia, più venticinque altri, tra cui l’italiano Rinaldo Cuneo e la nizzarda Jane Berlandina. Non avevano considerato, però, che erano (quasi) tutti comunisti.

I pittori si misero al lavoro con entusiasmo. Dipinsero, in una California magnifica, ricca di terra e di minerali, braccianti messicani, pescatori siciliani, operai – bianchi e neri insieme, toh – in sciopero, infermiere al tavolo operatorio, bibliotecari che prendono dallo scaffale una copia di Das Kapital, borghesi benvestiti borseggiati alla fermata del tram. Non a tutti piaceva quello che stava avvenendo nella torre. Il San Francisco Chronicle scriveva: «È così che spendiamo il denaro pubblico? Per fare propaganda ai sovversivi?».  

San Francisco intanto era sede del più grande sciopero che gli Usa avessero mai visto: tutti i porti della costa occidentale erano fermi. Una manifestazione di portuali – appena sotto Telegraph Hill – aveva visto due di loro uccisi dalla polizia: i pittori avevano smesso i pennelli ed erano andati in piazza. Gruppi di destra cercarono di distruggere i dipinti, artisti e portuali li difesero con il proprio corpo. Tutto questo succedeva mentre a New York era scoppiato uno scandalo: in un grande affresco commissionato da Rockefeller a Diego Rivera per celebrare l’industria americana, l’artista messicano aveva dipinto un sornione Lenin al lavoro in una catena di montaggio. Rockefeller aveva pagato il lavoro di Rivera, ma ne aveva distrutto l’opera. Sarebbe successa la stessa cosa anche a San Francisco?

Non successe, ma ci mancò poco; i dipinti vennero prima vandalizzati, poi restaurati.
Oggi finalmente tutti possono vedere una Cappella Sistina del Ventesimo secolo. La prossima dipingerà le navi container cinesi che, una dopo l’altra – colpite dal sole, avvolte dalla nebbia – entrano incessantemente nella baia.

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