IDEM è una nuova rivista bimestrale di cultura e società diretta da Vittorio Emanuele Parsi, nel cui comitato editoriale figurano, fra gli altri, Massimo Cacciari, Camilla Baresani, Angelo Panebianco, Nicola Pasini. I numeri sono monografici: quello in distribuzione, American dream , è sull'America come paesaggio simbolico e analizza il suo rilievo e il suo ruolo nel mondo contemporaneo. Pubblichiamo un ampio stralcio dal testo di Massimo Cacciari L'ideale dell'Impero da Prometeo a Epimeteo . Info www.idem-on.net
In Umbria la rivista è acquistabile presso le seguenti librerie:L’ALTRA LIBRERIA, Via ROCCHI 3, PERUGIA
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Il periodo che va dal crollo del «socialismo reale» alla nuova «grande crisi» che stiamo attraversando può forse davvero essere definito un’epoca. (...) Alla vigilia di un’epoca i segnali per leggerla rimangono nascosti. I tempi sembrano, anzi, favorire previsioni opposte. La vigilia di un’epoca si caratterizza per la chiacchiera sulle nostre capacità di «controllare» il futuro, mentre l’epoca, che poi ne segue, sembra «fatta» per dimostrare l’eterna legge dell’eterogenesi dei fini. Così avvenne nell’anno mirabile 1989. La terza guerra mondiale era finita. Un solo Titano rimaneva sulla scena, dalla potenza inavvicinabile. Ma era un Titano, a dispetto del nome, che si voleva non violento. Era un Prometeo benefattore nei confronti dei miseri mortali, che avrebbe lavorato e si sarebbe volentieri sacrificato per ordinare ad unità i loro contrasti e assicurare loro giustizia e benessere. Come Prometeo, aveva per noi in serbo il dono più prezioso: la ragione, il numero, la capacità di calcolare e trasformare. L’affermazione del suo modello di razionalità sarebbe stato il fondamento della sicurezza e della pace.
Alba o tramonto? L’epoca avvicina i colori fino a confonderli. Ma tutti o quasi obbedirono a quell’Annuncio come all’alba di un Nuovo Inizio. Tramontava finalmente il tragico Novecento della «tirannia dei valori», sorgeva l’età della concordia tra scienza, tecnica, mercato, democrazia e «diritti umani». Che potesse esservi stata una inconfessabile simbiosi tra i due Titani (a partire dallo loro stessa comune origine!) - che soltanto insieme essi potessero regnare - e che dunque la fine dell’uno potesse significare una mortale minaccia per l’altro - tutto ciò non fu neppure sospettato. Semmai i tradizionali avversari del vincitore si esercitarono nel deprecarne la solitaria potenza - giustificati in questo soltanto dall’indecente giubilo dei suoi vassalli.
L’epoca che allora si è aperta ha fatto giustizia di questo ciarpame, ricordandoci il grande motto romano: vae victoribus . La guerra non si vince fino a quando non si vince la pace. Poteva vincerla Prometeo? Poteva questo Titano condurre a termine l’ ordinatio ad unum , cui si sentiva da sempre vocato, di questo sempre più piccolo e povero pianeta? Certo, egli rappresentava la corrente spirituale e politica più forte dell’Occidente, l’unica potenza egemonica sopravvissuta al suicidio d’Europa, profondamente radicata in una grande cultura popolare, forte di valori condivisi. Ma qui stava anche la sua debolezza. La sua stessa potenza creava l’illusione che il mondo potesse essere guidato dalla cima del Campidoglio. Già a stento lo era stato nei decenni precedenti attraverso il foedus, sempre incerto, ma anche sempre operante, tra Impero d’Occidente e Impero d’Oriente. Il crollo di quest’ultimo terremotava automaticamente intere regioni geo-politicamente strategiche, sulle quali il vincitore non aveva quasi presa alcuna; «liberava» energie prima in qualche modo controllate o costrette a giocare sempre, comunque all’interno della «guerra mondiale»; frantumava il conflitto rendendolo illeggibile a chi si era educato a calcolarlo secondo i parametri «universalistici» di quella guerra.
L’epoca ha posto all’ordine del giorno, prepotentemente, l’idea di Impero e altrettanto prepotentemente l’ha smantellata. Ecco un esempio eclatante di quella morsa del tempo che un’epoca rappresenta. L’occasione imperiale si affacciava quasi di necessità alla proclamazione della vittoria. I vassalli europei seguivano plaudenti il suo carro. Ma altrettanto facevano gli avversari. Nessuna apologia dell’Impero fu più convincente, riguardo al destino che esso avrebbe dovuto rappresentare, delle loro critiche. Ma Prometeo non è intrinsecamente capace di Impero. Non sa concepirlo ex nationibus ; non ha alcuna idea del pluralismo che è immanente al suo stesso concetto (pluralismo ideologico, religioso, culturale); di conseguenza, non riesce a dar vita a forme di governo autenticamente «imperiali». La guerra - che, già lungo tutti gli Anni 60 e 70, il vincitore aveva dimostrato di non essere in grado di condurre efficacemente al di fuori degli schemi di razionalità militare fondati sul concetto di iustus hostis - non è che la prosecuzione del fallimento della politica con altri mezzi. L’Impero dura fino all’11 settembre. E poi l'epoca ne consuma il tracollo.
L’11 settembre crea l’illusione di un rilancio in grande stile dell’idea imperiale; in realtà ne segna la fine. Le sciagurate guerre di Bush junior ne inseguono il fantasma, mentre cercano di mascherare le cause anche materiali che ne decretano il fallimento.
Era accaduto, sempre in questo tempo breve, nel breviloquio dell’epoca, che il nuovo Impero avesse costruito gran parte della propria egemonia sul dilagare del debito; era accaduto che il suo popolo, anche in base alla fede nella propria missione, si fosse andato caratterizzando per un risparmio negativo. Era accaduto che le politiche dell’aspirante Impero avessero dato il via libera al più glorioso periodo di deregulation che la storia del capitalismo forse ricordi, al crollo di ogni forma di controllo sulle attività economiche e finanziarie. Era accaduto che tutto questo portasse il vincitore a dipendere prima dal Giappone e poi dalla Cina per il finanziamento del proprio debito. Era accaduto che questo comportasse la «resa» alla Cina su questioni fondamentali come il suo ingresso nel Wto in quanto economia di mercato (sic!) e il mantenimento della sua moneta a valori incredibilmente bassi. Accade ora che l’Impero si trovi a «sovranità limitata» come qualsiasi Stato della vecchia Europa.
Naturalmente, le risorse di Prometeo sono immense. Ma è evidente che le sue velleità di ordinatio ad unum sono fallite. E non potevano che fallire. La presidenza Obama registra e amministra questo fallimento. Sarà blasfemo anzi, certamente lo è - ma il pensiero viene inevitabile. Chi non salutò come luci dell’alba anche la perestrojka gorbacioviana? Qualcuno se ne ricorda? Ma Gorbaciov era, tragicamente, soltanto rex destruens . (...) Obama: ecco la possibilità di rilanciare l’idea imperiale secondo il filo d’Arianna dei «diritti umani», del vangelo democratico, dell’ecumenismo dialogico. E con l’eterna icona di JFK alle spalle. Ma non sembra restargli, invece, che «smontare» guerre altrui, trattare con le «maledette» agenzie di rating, che, dopo aver fatto strame di ogni effettivo controllo negli anni della grande bolla, ora segnalano da severi censori le imminenti vittime alla speculazione internazionale; cercare di dar forma plausibile al groviglio indistricabile che si è formato tra economia americana e Repubblica Popolare Cinese.
Non c'è alcun Impero alla fine dell’epoca, e meno ancora un’organizzazione multi-polare fondata su autentici foedera . Chi sembrava poter aspirare a fungere da «nocchiero» globale vent’anni fa, ora si regge in piedi a fatica. Chi ora svolge una funzione economico-finanziaria chiave non è in alcun modo in grado di svolgere una funzione politicamente egemone. Potrà rinascere il primo? Potrà trasformarsi in potenza politica globale il secondo? Potranno vecchie e nuove potenze dar vita a una organizzazione comune, a partire dai «fondamentali» finanziari, economici e commerciali? L’epoca sospende il giudizio. I Prometeo, coloro che credono di tutto prevedere, sono soltanto coloro che la preparano, la progettano. Alla fine, si «calcola» come ciò che è avvenuto corrisponda all’atteso per una percentuale minima e non si azzardano previsioni. L’epoca inizia con Prometeo e termina con Epimeteo. Dalla modestia del suo dubitare, e dal realismo disincantato delle sue analisi, potremo forse trarre qualche beneficio.
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