In ogni cosa che facciamo c'è sempre un grano di qualche altra che l'ha preceduta e le suggestioni possono arrivarci, senza che ce ne accorgiamo, da mille direzioni e da grandi lontananze.
Per Rocco, una storia a cui pensavo già da molto tempo, l'influenza maggiore l'ho forse subita da Giovanni Verga: I Malavoglia, infatti, mi ossessionano sin dalla prima lettura.
E, a pensarci bene, il nucleo principale di Rocco è lo stesso del romanzo verghiano: là 'Ntoni e i suoi, nella lotta per sopravvivere, per liberarsi dai bisogni materiali, tentavano l'impresa del "carico dei lupini": qui i figli di Rosaria tentano il pugilato: e la boxe è il "carico dei lupini" dei Malavoglia. Così il film si imparenta a La terra trema - che è la mia interpretazione de I Malavoglia - di cui costituisce quasi il secondo episodio.
A questa "ossessione" determinata dalla maggiore opera dello scrittore siciliano, si sono aggiunti altri due elementi:
il desiderio di fare un film su una madre che, sentendosi quasi padrona dei propri figli, ne vuole sfruttare l'energia per liberarsi dalle "necessità quotidiane", senza tener conto della diversità dei caratteri, delle possibilità dei suoi ragazzi, per cui mira ambiziosamente troppo in alto e viene sconfitta; e poi mi interessava anche il problema dell'inurbamento, attraverso cui era possibile stabilire un contatto tra il Sud pieno di miseria e Milano, la modernamente progredita città del Nord.
In queste mie necessità si sono poi inseriti altri motivi: alcuni che risalgono alla Bibbia e a Giuseppe e i suoi fratelli di Mann, altri che s'identificano nella mia ammirazione per lo scrittore Giovanni Testori ed il suo caratteristico mondo ed, infine, ad un personaggio dostojewskiano che, per più aspetti, rassomiglia interiormente al Rocco del mio film: il Myskin de L'idiota, il rappresentante più illustre della bontà fine a se stessa.
Di qui, da tutte queste sollecitazioni, spesso inavvertibili, è nata la storia di Rocco e i suoi fratelli.
La storia di Rosaria, una donna lucana energica, forte, testarda, madre di cinque figli, "forti, belli, sani" che sono per lei come le cinque dita della mano. Morto il marito, attratta dal miraggio della grande città del Nord, per fuggire la miseria, si trasferisce a Milano.
Ma la città non consente a tutti e cinque i ragazzi la stessa identica sorte: Simone, che sembra il più forte e che in realtà è il più debole, si perde e uccide una mondana.
Rocco, il più sensibile, il più spiritualmente complesso, ottiene un successo che per lui - che si ritiene responsabile delle disgrazie di Simone - è una forma di autopunizione: diventerà celebre attraverso il pugilato, un'attività che gli ripugna perché, quando egli è sul ring, di fronte all'avversario, sente scatenarsi dentro un odio per tutto e per tutti; un odio da cui egli rifugge quasi con orrore.
Ciro, il più pratico, il più saggio ed il più concreto dei fratelli sarà l'unico ad inurbarsi completamente, a diventare una unità della comunità milanese, conscio dei suoi nuovi diritti e dei suoi nuovi doveri.
Il più piccolo, Luca, forse un giorno tornerà in Lucania, quando anche laggiù le condizioni di vita saranno mutate, mentre Vincenzo si accontenterà di una vita modesta ma sicura al fianco di sua moglie".
Domanda:"Quali sono state le tappe che l'hanno condotto alla sceneggiatura definitiva?".
Risposta:"In un primo tempo ho scritto il soggetto. Poi un lungo trattamento insieme a Suso Cecchi D'Amico e a Vasco Pratolini. Successivamente ho fatto un sopralluogo a Milano per attingere dalla carne viva della città alcuni elementi e identificare gli ambienti, i luoghi in cui avrebbero vissuto i miei personaggi (la periferia dai grandi casoni grigi, Roserio, la Ghisolfa, Porta Ticinese, ecc.): e, sulla base di questi elementi ho scritto insieme con Suso Cecchi D'Amico, Festa Campanile, Franciosa e Medioli una prima sceneggiatura.
Poi nuovo sopralluogo a Milano: e questo secondo viaggio è servito per mettere meglio a punto sia i personaggi che le situazioni.
Ad esempio, nella prima stesura, avevamo sottolineato la nostalgia dei meridionali che vivono a Milano per la loro terra. Parlando con molti di essi ci siamo resi conto, invece, che non lascerebbero mai la città, che mai tornerebbero ai loro paesi d'origine, perché - dicono - meglio arrangiarsi a Milano che patire in paese.
E in base a questa realtà nuova abbiamo notevolmente modificato il testo della prima stesura.
Altro elemento che abbiamo captato è stato quello del sistema usato dai meridionali per avere una casa: ed anche di questo abbiamo tenuto conto nelle correzioni e nelle modifiche.
Infine eravamo in cerca di un finale diverso, più moderno, di quelli previsti dal trattamento e dalla prima sceneggiatura poi. Infatti in una stesura Rocco moriva durante un combattimento, disputato pur sapendo di non essere in condizioni fisiche adatte a boxare; in un'altra si faceva arrestare in luogo del fratello.
Alla fine abbiamo trovato l'attuale finale (l'accettazione, come autopunizione, di un'attività tutt'altro che congeniale) che mi sembra assolutamente privo della melodrammaticità del primo e della meccanicità artificiosa del secondo".
Domanda:"La sceneggiatura "definitiva" subirà altre modifiche, oppure girerà attenendosi scrupolosamente al testo?".
Risposta:"Naturalmente subirà una ulteriore trasformazione durante la lavorazione: perché essa mi servirà solo come base di massima: e su questa base, volta per volta, inventer" ancora, tenendo particolarmente conto degli elementi estemporanei, costituiti dai luoghi, dagli ambienti e soprattutto dalle necessità drammatiche del racconto. Ho sempre fatto così per ogni mio film".
Domanda:"Sia in La terra trema che in Bellissima, e adesso in Rocco lei racconta delle "madri". Quali rapporti esistono tra "Maruzza" siciliana, "Maddalena" romana e "Rosaria" lucana?
Risposta:"Sono tre momenti dello sviluppo del personaggio "la madre": quella de La terra trema era come effacée dagli avvenimenti; "Maddalena" di Bellissima era aspra e tenera, e stretta parente della "Rosaria" di Rocco: anche lei usava sua figlia per raggiungere il successo ed anche lei veniva sconfitta; "Rosaria" è una di quelle "madri" che, come "Maddalena", crede nei propri figli quasi con la furia di una scatenata; anche lei è sconfitta: e, in più di "Maddalena", per la sua origine, recita sempre: recita la gioia ed il dolore, quasi dilatando all'esterno i sentimenti che sente dentro".
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