Un meno autobiografico Paul Thomas Anderson analizza le origini del male americano, criticandone la religione «industria del potere» Ispirato al fondatore di Scientology, analizza le sette extra cristiane come risoluzione di dubbi e angosce
THE MASTER DI PAUL THOMAS ANDERSON, CON JOAQUIN PHOENIX E PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, USA 2012
Il più bertolucciano dei cineasti hollywoodiani cresce ed evolve. E come il suo maestro parmense sgominò le ombre dell'ego a Pechino e in India fino a sfidare la città proibita e il misticismo celibe, così chi per 4 film non si è mosso, autobiograficamente, dalla Los Angeles contemporanea (da Hard Eight a Punch-Drunk Love), negli ultimi due affreschi ambiziosi, There will be blood (Il petroliere) e The master (raddoppiato nella gigantografia del 70mm), ha osato prendere di petto la storia americana tutta, come scoprì un critico Usa: prima «il corrosivo potere dell'industria (il petrolio) e poi la corrosiva industria del potere (la religione)». Membro della «generazione Betacam», e di attraente originalità indiewood, Paul Thomas Anderson, torna, non senza scudisciate di ironia postmodern, all'immagine finemente lavorata e lussuriosa del cosidetto periodo cool (fighetto), allo schermo dai colori dilatati degli studios anni 60 in questo suo sesto lungometraggio (serio e visionario come Greed o The Crowd) una metafora del male contemporaneo tra Huston (Wise blood), Fuller (da The steel Helmet a Shock corridor) e Tati (Playtime), un'analisi delle fondamenta spiritual-materiali del «paese di Dio». Se perfino i blockbuster di oggi smaniano per essere realisti, infastiditi dal citazionismo frivolo (mai Batman fu così massacrato e umiliato), figuriamoci un'immersione di profondità dentro e dietro la post-religione che conquistò Cruise, Travolta e, per un attimo, anche William Burroughs....
Il rapporto di fiducia tra salvezza eterna e conto in banca è alle origini della fondazione puritana e proprietaria del paese e anche dello sterminio dei nativi, benedetto certamente dal cielo calvinista che tifa solo per le mentalità vincenti. Lo «stato etico» si trova altrove, qui l'individuo solamente è etico (se vuole) ma lo stato è meglio che non si faccia troppo vedere in giro. Lo spirito del capitalismo ha delle regole precise e spietate. Se sei povero è colpa tua. Niente assistenza sanitaria, sarebbe una aberrazione mentale. Siamo in uno stato di cittadini eguali? E allora? Se sei incapace di aggredire e asservire gli altri, sei subumano come un nigger. La grazia di dio è quella forza interiore che si misura in profitti (e, al limite, in charity compassionevole).
E fin qui siamo al Petroliere. La libertà è non avere padrone, fosse anche lo stato, il senso di colpa, la compassione o la religione. Ed ecco che arriviamo al superamento della concezione protestante del mondo e entriamo in quella liberista, drastica e fondamentalista. Alle «sette» del dopo-bomba atomica. Anni 50. Cambia tutto. Da azzerare è Roosevelt (lo faranno implacabilmente, fino a ieri notte al Congresso)... E la religione che va adeguata al complesso militare-industriale. La chiesa imiti slotmachines e Lion's club: si faccia apparato per la valorizzazione e la protezione anche intima degli adepti, azienda speciale quotata in borsa, dispositivo ammazza-nemici, ordigno immaginario possente capace di sedurre magnati (l'1% dei cittadini: chi finanzia le campagne elettorali di rossi e blu e accoppa i presidenti che sgarrano) e abbindola sottoproletari, proteggendo poi la bassa manovalanza per le pratiche innominabili che innalzeranno il potere spirituale, alias materiale dei soci finanziatori.
Siamo così arrivati a The Master che analizza le scaturigini delle sette extracristiane, tipo dianetics e succedanei ma, ce lo indica il titolo stesso un po' orientaleggiante, sfiora solo marginalmente i fantascienziati della fede di Hollywood Boulevard. Anche perché i due protagonisti sono troppo in stato di grazia: Philip Seymour Hoffman (che il «Willy Loman» di Morte di un commesso viaggiatore, portato sulle scene di recente, ha reso ben affettato) e Joaquin Phoenix, dalla potenza polimorfica degna di Titus. Si tratta, per Anderson, di deipnotizzare i deipnotizzatori, come si vanta di essere certi film e Lancaster Dodd (Hoffman, degno di Mitchum in La morte corre sul filo), il suo anti-eroe, scrittore, filosofo, scienziato, mago wellesiano, fondatore di una fede contagiante e demagogica, con l'obbligo del sorriso e sessualmente e alcoolicamente tollerante, che renderà tutti più sicuri, felici, ricchi ed eterni. Tra karma e Kools al mentolo. Il marinaio Freddie Quell (Phoenix, quasi irriconoscibile, ingobbito e con l'occhio della tigre, ma quella dell'Era glaciale 3) reduce disturbato della guerra nel Pacifico, mamma in manicomio, gran distillatore di paradisiache pozioni, ritrattista fotografico squassato da una storia d'amore interrotta, affiancherà - come pupillo, cavia, bodyguard, dopo essersi catapultato per caso, e dopo un doppio gioco di focali, nel «suo» yacht di lusso - il Papa della «Causa», dando quiete ai suoi fantasmi - attraverso quella tecnica deipnotizzante - ma proteggendo boss e famiglia con tecniche da mascalzone, a retrogusto gay, da San Francisco a New York, da Filadelfia a Londra, fino al presumibile «divorzio» o raddoppiamento apostolico.
Il meccanismo è interessante. Una cultura che esige chiarezza e pragmaticità. Chi risolve tutti i perché, i dubbi, le angosce e le ambiguità merita una fiducia sconfinata. Quella che venne conferita all'inventore del football Usa quando tolse, con un sistema di regole chiare, il rugby dalle ambiguità collegate all'interpretazione britannica dell'arbitro sull'intenzionalità di un gesto. Ecco: e se anche la religione venisse trasformata in un sistema dalle procedure e dalle tecniche chiare? Freddie picchia a sangue un critico di Dodd quando osa definirlo: «un ottimo mistico». Lo stesso obiettivo se l'era prefissato, per liberare le persone, non per asservirle, la coeva «scatola orgonica» di Reich, che avrebbe sbriciolato le corazze nevrotiche che la repressione sessuale scolpisce dentro di noi disalienandoci e distruggendo il sistema gerarchico capitalistico e ogni sindrome «fascista» di destra e sinistra. Reich sì che fu punito davvero, incarcerato e perseguitato dai media... Santoni come Dodd faranno invece parte, da allora, del nuovo panorama all-american.
Il più bertolucciano dei cineasti hollywoodiani cresce ed evolve. E come il suo maestro parmense sgominò le ombre dell'ego a Pechino e in India fino a sfidare la città proibita e il misticismo celibe, così chi per 4 film non si è mosso, autobiograficamente, dalla Los Angeles contemporanea (da Hard Eight a Punch-Drunk Love), negli ultimi due affreschi ambiziosi, There will be blood (Il petroliere) e The master (raddoppiato nella gigantografia del 70mm), ha osato prendere di petto la storia americana tutta, come scoprì un critico Usa: prima «il corrosivo potere dell'industria (il petrolio) e poi la corrosiva industria del potere (la religione)». Membro della «generazione Betacam», e di attraente originalità indiewood, Paul Thomas Anderson, torna, non senza scudisciate di ironia postmodern, all'immagine finemente lavorata e lussuriosa del cosidetto periodo cool (fighetto), allo schermo dai colori dilatati degli studios anni 60 in questo suo sesto lungometraggio (serio e visionario come Greed o The Crowd) una metafora del male contemporaneo tra Huston (Wise blood), Fuller (da The steel Helmet a Shock corridor) e Tati (Playtime), un'analisi delle fondamenta spiritual-materiali del «paese di Dio». Se perfino i blockbuster di oggi smaniano per essere realisti, infastiditi dal citazionismo frivolo (mai Batman fu così massacrato e umiliato), figuriamoci un'immersione di profondità dentro e dietro la post-religione che conquistò Cruise, Travolta e, per un attimo, anche William Burroughs....
Il rapporto di fiducia tra salvezza eterna e conto in banca è alle origini della fondazione puritana e proprietaria del paese e anche dello sterminio dei nativi, benedetto certamente dal cielo calvinista che tifa solo per le mentalità vincenti. Lo «stato etico» si trova altrove, qui l'individuo solamente è etico (se vuole) ma lo stato è meglio che non si faccia troppo vedere in giro. Lo spirito del capitalismo ha delle regole precise e spietate. Se sei povero è colpa tua. Niente assistenza sanitaria, sarebbe una aberrazione mentale. Siamo in uno stato di cittadini eguali? E allora? Se sei incapace di aggredire e asservire gli altri, sei subumano come un nigger. La grazia di dio è quella forza interiore che si misura in profitti (e, al limite, in charity compassionevole).
E fin qui siamo al Petroliere. La libertà è non avere padrone, fosse anche lo stato, il senso di colpa, la compassione o la religione. Ed ecco che arriviamo al superamento della concezione protestante del mondo e entriamo in quella liberista, drastica e fondamentalista. Alle «sette» del dopo-bomba atomica. Anni 50. Cambia tutto. Da azzerare è Roosevelt (lo faranno implacabilmente, fino a ieri notte al Congresso)... E la religione che va adeguata al complesso militare-industriale. La chiesa imiti slotmachines e Lion's club: si faccia apparato per la valorizzazione e la protezione anche intima degli adepti, azienda speciale quotata in borsa, dispositivo ammazza-nemici, ordigno immaginario possente capace di sedurre magnati (l'1% dei cittadini: chi finanzia le campagne elettorali di rossi e blu e accoppa i presidenti che sgarrano) e abbindola sottoproletari, proteggendo poi la bassa manovalanza per le pratiche innominabili che innalzeranno il potere spirituale, alias materiale dei soci finanziatori.
Siamo così arrivati a The Master che analizza le scaturigini delle sette extracristiane, tipo dianetics e succedanei ma, ce lo indica il titolo stesso un po' orientaleggiante, sfiora solo marginalmente i fantascienziati della fede di Hollywood Boulevard. Anche perché i due protagonisti sono troppo in stato di grazia: Philip Seymour Hoffman (che il «Willy Loman» di Morte di un commesso viaggiatore, portato sulle scene di recente, ha reso ben affettato) e Joaquin Phoenix, dalla potenza polimorfica degna di Titus. Si tratta, per Anderson, di deipnotizzare i deipnotizzatori, come si vanta di essere certi film e Lancaster Dodd (Hoffman, degno di Mitchum in La morte corre sul filo), il suo anti-eroe, scrittore, filosofo, scienziato, mago wellesiano, fondatore di una fede contagiante e demagogica, con l'obbligo del sorriso e sessualmente e alcoolicamente tollerante, che renderà tutti più sicuri, felici, ricchi ed eterni. Tra karma e Kools al mentolo. Il marinaio Freddie Quell (Phoenix, quasi irriconoscibile, ingobbito e con l'occhio della tigre, ma quella dell'Era glaciale 3) reduce disturbato della guerra nel Pacifico, mamma in manicomio, gran distillatore di paradisiache pozioni, ritrattista fotografico squassato da una storia d'amore interrotta, affiancherà - come pupillo, cavia, bodyguard, dopo essersi catapultato per caso, e dopo un doppio gioco di focali, nel «suo» yacht di lusso - il Papa della «Causa», dando quiete ai suoi fantasmi - attraverso quella tecnica deipnotizzante - ma proteggendo boss e famiglia con tecniche da mascalzone, a retrogusto gay, da San Francisco a New York, da Filadelfia a Londra, fino al presumibile «divorzio» o raddoppiamento apostolico.
Il meccanismo è interessante. Una cultura che esige chiarezza e pragmaticità. Chi risolve tutti i perché, i dubbi, le angosce e le ambiguità merita una fiducia sconfinata. Quella che venne conferita all'inventore del football Usa quando tolse, con un sistema di regole chiare, il rugby dalle ambiguità collegate all'interpretazione britannica dell'arbitro sull'intenzionalità di un gesto. Ecco: e se anche la religione venisse trasformata in un sistema dalle procedure e dalle tecniche chiare? Freddie picchia a sangue un critico di Dodd quando osa definirlo: «un ottimo mistico». Lo stesso obiettivo se l'era prefissato, per liberare le persone, non per asservirle, la coeva «scatola orgonica» di Reich, che avrebbe sbriciolato le corazze nevrotiche che la repressione sessuale scolpisce dentro di noi disalienandoci e distruggendo il sistema gerarchico capitalistico e ogni sindrome «fascista» di destra e sinistra. Reich sì che fu punito davvero, incarcerato e perseguitato dai media... Santoni come Dodd faranno invece parte, da allora, del nuovo panorama all-american.
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