Tutto in 14 ore: l’addio di Obama col discorso di Chicago e la prima conferenza stampa dell’era Trump. La sobrietà, la riflessione di un presidente che se ne va dopo otto anni senza l’ombra di uno scandalo. Otto anni di sortite misurate. Forse troppo. Tutt’altro film col nuovo presidente.
I servizi segreti responsabili della sicurezza Usa paragonati ai nazisti del Terzo Reich, la promessa di essere «il più grande costruttore di posti di lavoro che Dio ha mai creato»: «The Donald» non si è ancora insediato, ma l’iperbole è già il «new normal» alla Casa Bianca. Nel gran caos delle dispute sulle interferenze russe e sui conflitti di Trump con la stampa e con l’«intelligence» si rischia di perdere di vista un dato. Nelle loro enormi differenze, il presidente uscente e quello entrante hanno un punto in comune: su un problema centrale per il futuro della democrazia (il lavoro e le crescenti sperequazioni nella distribuzione della ricchezza) tutti e due stanno «parlando d’altro». Che lo stia facendo Trump l’ha detto lo stesso Obama criticando implicitamente il suo protezionismo, il presidente democratico ha ammesso che, sì, il commercio deve essere non solo «free» ma anche «fair», corretto, ma poi ha aggiunto che le barriere contano poco perché la distruzione di posti di lavoro del ceto medio non verrà da oltreoceano, ma dall’automazione.
Tutto vero: la stampa (e il Corriere) analizza da anni il crescente impatto della tecnologia sul mondo del lavoro: prima i robot che hanno svuotato le fabbriche, ora l’intelligenza artificiale che rende obsolete professioni che sembravano inattaccabili. Di questo Trump non parla, è vero: «Paradossale, va via l’uomo del futuro e arriva un presidente che guarda al passato» si sfoga Dan Pfeiffer, ex consigliere di Obama. Ma cosa ha fatto su questo, in 8 anni, l’uomo del futuro? Ha coltivato i rapporti coi giganti digitali, ma non ha cercato soluzioni, non ha provato a disegnare nuove reti di protezione sociale: qualcosa che, paradossalmente, stanno provando a fare i privati di «YCombinator» coi loro esperimenti in Silicon Valley. Un ritardo che non è solo di Obama, ma di tutta la sinistra occidentale. E che ha aperto varchi alla demagogia di Trump: salvare qualche migliaio di posti di lavoro nelle fabbriche del Mid West non risolverà la crisi del ceto medio, ma è fieno in cascina per la sua prossima campagna elettorale.
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