sabato 31 agosto 2024

VIVERE SENZA MORIRE. L'OSSESSIONE PER LA LONGEVITA' MADE IN CALIFORNIA. ERLER D., La vita eterna è un affare per ultraricchi: il boom delle start up che promettono la longevità, DOMANI, 29.08.2024

 Se vogliamo, in Italia abbiamo avuto un illustre precursore. L’ossessione per la longevità di Silvio Berlusconi era in qualche modo leggendaria (e forse talvolta persino esagerata nei racconti popolari). Si dice che prima di ogni campagna elettorale si ritirasse all’hotel Palace di Merano, il regno di Henri Chenot, che aveva costruito un programma per l’eterna giovinezza.


Si dice che il legame forte con don Luigi Maria Verzè, e l’intera struttura del San Raffaele, fosse la parte visibile di un grande progetto per cercare la ricetta per l’immortalità. Se fosse vero, ora sappiamo che non c’è stato tempo a sufficienza. Berlusconi è morto il 12 giugno del 2023, a 87 anni di età: che è pur sempre qualche anno in più rispetto all’aspettativa di vita, ma è molto di meno rispetto al traguardo che lo avrebbe reso un centenario.

Ma la stessa ossessione per la longevità ora sembra molto più diffusa, a diventare quasi un tratto comune che unisce un’intera generazione di ultraricchi. Si potrebbe pensare che è influenzato dall’attualità, visto che la campagna elettorale che porterà al voto negli Stati Uniti si è giocata molto sull’età dei protagonisti e quindi sulla loro capacità di governare.

In realtà è probabilmente il sintomo più evidente di un’ossessione che ha radici più profonde e che si ritrova in una filosofia antica quanto il mondo. Accumuli ricchezze, hai un conto in banca sconfinato, generi fatturati che superano il prodotto interno di intere nazioni, ma alla fine sei mortale come tutti.

C’è la stessa enorme clessidra con i granelli di sabbia che cadono, giorno dopo giorno, fino a quando non ci sarà più tempo a disposizione.

La salute disuguale

Eppure nella Silicon Valley sembra che l’ossessione per l’eternità, o almeno per la longevità, stia raggiungendo nuove vette e stia contagiando anche persone dal conto in banca più normale. Se è inevitabile che la clessidra sia la stessa per tutti, l’idea ora è in qualche modo di sabotare l’impianto. Per chi lavora ogni giorno con la tecnologia, non c’è nulla di più naturale che cercare di cambiare gli ingranaggi che regolano il proprio destino.

Anche perché, pensandoci bene, non è esattamente vero che il punto di partenza sia lo stesso per tutti. Sir Michael Marmot – un luminare della medicina, che insegna all’università di Londra – ha da tempo teorizzato che esiste una “disuguaglianza” anche nella salute. Persone che vivono in posti diversi, e che quindi hanno accesso a servizi diversi, hanno anche un’aspettativa di vita diversa. I limiti non sono solo biologici, ma anche economici e sociali.

Questo è ancora più vero negli Stati Uniti, dove le cure dipendono anche da quanto puoi pagare. Ma succede anche in Italia, dove aumentano le liste di attesa per esami e visite, e chi può pagare un medico libero professionista può talvolta avere diagnosi più precoci.

Cybercondria

Ma evidentemente questo discorso si lega ora anche ad altri aspetti di attualità. La tecnologia ha aperto a strade finora inesplorate. L’intelligenza artificiale è già in grado di fornire risposte più o meno affidabili a domande precise. Si possono raccogliere dati e incrociarli, fino a scoprire nuovi modi per ottenere una cura.

Ci sono speranze diffuse per un miglioramento della medicina, per la ricerca su malattie che oggi sono mortali e magari un giorno non lo saranno più. In generale, per una vera rivoluzione che riesca ad essere più equa. L’intera storia della scienza è stata anche una storia della tecnologia, che ha permesso di raggiungere traguardi che prima erano impossibili.

Ma qui parliamo invece di un’ossessione che tocca aspetti ben diversi e che riguarda forse più una generale fragilità che si è trasformata in una sorta di ipocondria di massa. Ci sono studi accademici che dimostrano come l’ansia per la salute sia aumentata negli ultimi anni e come anche su questo abbia avuto un’influenza la diffusione di Internet e dei social network.

C’è chi ha coniato il termine “cybercondria” per spiegare come l’accesso facilitato a informazioni mediche abbia portato a un aumento di ansia per la salute, a seguito della ricerca online di informazioni sui sintomi. Frequentando TikTok, è facile imbattersi nei video di persone che stanno affrontando una malattia o, peggio ancora, nel racconto di terapie senza fondamento scientifico. Ovviamente, non ha aiutato il fatto di essere passati dalla più grande pandemia degli ultimi anni.

Start up

È in questo contesto che sono spuntate start up che fanno esattamente questa promessa: riuscire a regalare un’aspettativa di vita maggiore, fino a sfiorare il sogno che era già stato di Berlusconi di superare i cent’anni.

In un certo senso, sono un’estensione di servizi già ampiamente diffusi. La sanità privata permette di accedere a check up e ad esami di laboratorio che spesso sono superflui e costosi, ma che possono avere anche effetti positivi sulla salute generale, in un contesto in cui la sanità pubblica non riesce a fornire tutte le risposte.

Ma negli Stati Uniti, e fra gli ultraricchi della Silicon Valley in particolare, sta diventando comune abbonarsi a servizi per la longevità, proprio come ci si abbona a Netflix. Servizi che un tempo erano ricercati e personalizzati stanno diventando sempre più comuni e accessibili, anche grazie a economie di scala.

Per esempio, con Function Health si accede a una sorta di “check up” permanente, che garantisce di raccogliere una quantità di dati sulla propria salute che – secondo la loro ricetta innovativa – dovrebbe aumentare anche l’aspettativa di vita. Lo slogan è semplice ed efficace: «La vita è breve? Noi non siamo d’accordo».

Un mercato stellare

Al momento, Function Health ha già quasi 50mila clienti che pagano un abbonamento da 499 dollari all’anno (42 dollari al mese) e ben 200mila persone in lista d’attesa. Comprende un check up completo ogni anno, con oltre 100 test di laboratorio. Inoltre, a metà anno, si può accedere a ulteriori test di controllo.

Tutti i dati vengono condivisi in una piattaforma guidata dall’intelligenza artificiale, che li incrocia, dà indicazioni automatiche e permette di ricevere opinioni da un gruppo selezionato di medici. L’idea non è soltanto di ottenere informazioni immediate quando qualcosa non va, ma di poter tracciare tutti i cambiamenti nel corso del tempo, attraverso un’analisi precisa dei dati.

Function Health ha raccolto quasi 53 milioni di dollari in finanziamenti in appena due anni. Ma è solo un esempio fra i tanti: esistono decine di start up che permettono di fare esami del sangue e analisi specialistiche in centri convenzionati in tutti gli Stati Uniti, con una grande diffusione in particolare dei test genetici. Il tutto viene poi incrociato anche con i dati che vengono raccolti attraverso gli orologi intelligenti o altri dispositivi indossabili, che a loro volta sono già sincronizzati con le applicazioni che monitorano attività fisica e stato di salute.

Secondo un report di Grand View Research, una società di analisi del settore, il mercato internazionale dei test genetici salirà dall’1,9 miliardi di dollari del 2023 agli 8,8 miliardi di dollari del 2030.

Altri esempi

 così, con InsideTracker (per un minimo di 149 dollari all’anno) si possono fare test genetici, individuando tutti i marcatori che potrebbero avere un impatto sulla salute. I dati vengono poi incrociati con le informazioni sull’attività fisica e il monitoraggio del sonno, per fornire consigli personalizzati.

SelfDecode (per 298 dollari una tantum, a cui si aggiunge una quota annuale di 119,88 dollari e ulteriori 199 dollari per i servizi più avanzati) parte invece da un test salivare per fornire consigli sempre più mirati, fornendo un “punteggio di rischio” per 55 condizioni e malattie. Inoltre, si può chattare con un’intelligenza artificiale che risponde a domande più specifiche sulla propria salute.

Genefit (199 dollari per il test iniziale, quindi 14,99 dollari al mese per l’abbonamento) parte dai dati sull’attività fisica e li incrocia poi con i risultati effettuati con un test salivare, per fornire consigli e indicare i punti di forza e debolezza per sei fattori: allenamento, recupero, rischio di infortuni, composizione corporea, livelli di energia e nutrizione.

Alter (99 dollari per il test iniziale, a cui si aggiungono 2.995 dollari una tantum e un abbonamento da 39,99 dollari) incrocia i dati dell’analisi genetica a quelli ricavati da uno “specchio intelligente”, che verifica come vengono effettuati gli esercizi fisici. Inoltre, ci sono istruttori specializzati (e umani) che forniscono ulteriori consigli a distanza.

Direzioni possibili

Gli Stati Uniti sono spesso un esempio in grado di prevedere ossessioni che poi contageranno l’intero mondo occidentale. Al di là degli aspetti più specifici sull’affidabilità di questi programmi, bisognerebbe chiedersi anche cosa nascondano. È solo una volontà di prendersi più cura di sé stessi? O c’è forse una paura eccessiva della propria fragilità, che nasconde aspetti più reconditi, che hanno a che fare più con la salute mentale che con la genetica?

Il rischio vero è che la salute disuguale possa diventare in futuro ancora più disuguale. I segnali che si intravedono nella Silicon Valley potrebbero in realtà prendere una doppia direzione: quella di fornire sistemi più precisi di prevenzione e controllo, che siano a disposizione di tutti e che utilizzino la tecnologia per rispondere ai bisogni crescenti di un sistema sanitario in difficoltà. O potrebbero prendere la direzione opposta, di un sistema sempre più elitario, dove la longevità è solo un ulteriore bene da pagare a caro prezzo.

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