lunedì 25 maggio 2015

CINEMA E SOCIETA'. INCUBO AMERICANO. LOUISIANA. REDAZIONE, Minervini nel ghetto bianco d’America, IL TEMPO, 22 maggio 2015

Il quarto film italiano in gara, nella sezione Un certain regard, conferma lo sguardo duro e impietoso del marchigiano Roberto Minervini sulla realtà americana. Sesso, droga, degrado, anche mentale, nelle pieghe di una civiltà sconvolta dalle proprie delusioni, con un finale di guerriglieri ossessionati dal simbolo di Obama al quale si ribellano. Minervini torna a Cannes (dopo "Stop the Pounding Heart"), stavolta nella sezione presieduta dalla Rossellini con il film "Louisiana" che sarà nelle sale dal 28 maggio con Lucky Red. 
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Tra cinema verità e immagini shock il regista racconta l'umanità emarginata del ghetto bianco, dove le persone si drogano soprattutto di metanfetamine fatte in casa. Molte le scene crude, come quella di una coppia, Mark e Lisa, che si lasciano riprendere nell'intimità o mentre si bucano. E, ancora peggio, c'è la storia di una ragazza incinta che si droga. «Ho filmato per un anno la sua vita, i suoi spogliarelli, la nascita della bambina, l'arresto del marito e la condanna della madre a 20 anni per produzione di anfetamine - ha spiegato Minervini - L'effetto shock serve ad approfondire il dibattito. Ho scelto la Louisiana perché ho seguito lì Todd, personaggio del mio film precedente, l'unico della sua famiglia che è riuscito a scappare e a rifarsi una vita normale in Texas. Nella Louisiana del nord il 60% della gente è disoccupata, distrutta da droga e povertà, piena di rabbia contro le istituzioni che li hanno abbandonati; laggiù non entra nemmeno la polizia, è un ghetto bianco inaccessibile ai neri. Lì ci sono anche i veterani di oggi, ventenni disabili che finiscono nel tunnel delle droghe: per loro Obama è un criminale, come prima di lui Bush, è come se i bianchi poveri si ribellassero al presidente nero».
Nel concorso ufficiale non convince fino in fondo l'atteso film "Dheepan", del pluripremiato Jacques Audiard, già vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria nel 2009. Il tema è caldo: si parte dall'immigrazione, mettendo in primo piano le vicende di Dheepan, combattente delle Tigri Tamil, che, dopo la sconfitta del suo battaglione e lo sterminio della sua famiglia, decide di emigrare in Francia. Ma per ottenere un permesso come rifugiato porta con sé una donna che spaccia per moglie e un'orfana che invece avrà il ruolo della figlia. Per i tre arrivare a Parigi è una vera impresa ma soprattutto viverci diventa un problema: nella periferia parigina non è certo facile integrarsi e anche lì l'uomo dovrà combattere ancora e, come nella sua terra di origine, anche lì vige la legge del più forte in assenza uno Stato assente. Cinema sociale, sì, ma non troppo e il finale, tra sparatorie e violenze da giustiziere delle Banlieue, rischia di trasformare il tutto in un deja vu da film di genere. Ottima la scelta del protagonista, Anthonythasan Jesuthasan, vero ex combattente delle LTTE (Tigri per la liberazione della Patria Tamil), che si è trasferito in Europa e ha cominciato a pubblicare dei libri in cui racconta la sua vita. Per Audiard il suo non è un film politico: "Sin dall'inizio con lo sceneggiatore volevamo realizzare una pellicola di genere e non un documentario sulla guerra o sui problemi delle Banlieue. Siamo partiti dalla realtà per poi raccontare i personaggi e le loro speranze di vivere in Inghilterra».
Particolarmente bello è invece l'altro film ieri in concorso, "The Assassin" del regista di Taiwan Hou Hsiao-Hsien, genere wuxia (film di cappa e spada orientali). Pur rispettando i canoni del genere, il regista regala alla sua opera uno spirito modernissimo con una fotografia ipnotica grazie alla quale ogni scena sembra un dipinto. Il suo è puro cinema di poesia: Hsien ha parlato dei film come di torrenti, e degli spettatori come persone sulle rive di quel torrente, cui viene richiesto di osservarne il ritmo e la corrente, le rapide e le zone placide, anche di bagnarsi in quell'acqua. Ambientato nella Cina del IX secolo con una radiosa Shu Qi che, finito l'addestramento di arti marziali, dovrà decidere se uccidere il tiranno del villaggio, l'uomo che ama e che l'aveva chiesta in sposa.
Bocciato "Love" di Gaspar Noé, porno che è poco porno e anche patinato, tra masturbazioni, sesso orale accennato e penetrazioni "invisibili". Noé si conferma provocatore del nulla, più bravo a suggerire scandali che a renderli vivi sullo schermo. La sua storia di amori tormentati e ironie fuori posto, tra follie, porte che sbattono, urla da scene madri e preservativi che si rompono, non trova posto nel porno né nel cinema erotico d'autore e il 3D non aiuta a rendere il tutto meno patetico.
Da notare sulla Croisette la presenza di una poco glamour Julie Gayet, qui per presentare il film "Comoara" di Corneliu Poromboiu. Stando un settimanale francese, nei giorni scorsi la première dame sarebbe stata respinta da un locale di Cannes: il buttafuori non l’aveva riconosciuta.

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