lunedì 28 novembre 2011

OWS E I SIMBOLI DELLA RIVOLTA. PANARARI M., Fantasia al contropotere: un fumetto per gli indignati, LA STAMPA, 28 novembre 2011

La protesta politica, nel corso del secolo passato, ha assunto diversi colori e varie bandiere. Ma non era (ancora) mai capitato che a venire innalzato come vessillo di una mobilitazione - i cortei, veramente globali, degli «indignati» - fosse una maschera, e per giunta quella del protagonista di una graphic novel, V for Vendetta.


Sì, proprio la celebre serie a fumetti (diventata, qualche anno fa, anche un film) scritta da Alan Moore e disegnata da David Lloyd, che descrive l'eroica resistenza dell' anarchico V alla dittatura del Grande Fratello (a metà tra Orwell e il reality show) al potere in Gran Bretagna all'indomani di un perfetto «golpe postmoderno» fatto a colpi di mass media e manipolazione della comunicazione. A cui V, che si cela dietro la maschera di Guy Fawkes (uno degli attentatori cattolici che, nel 1605, diede vita alla fallita «congiura delle polveri» per assassinare il re protestante Giacomo I), risponde, non a caso, con campagne ad alto tasso di spettacolarizzazione.


La «fantasia al contropotere» si potrebbe dire; e, infatti, dalla New York di Occupy Wall Street agli scioperi di Atene, a impazzare tra chi si sente vittima del postmodernissimo «colpo di Stato» della finanza globalizzata è proprio questa maschera. Una novità clamorosa rispetto ai vessilli che venivano inalberati nel corso dei conflitti politici e delle proteste del Novecento. E il segno inequivocabile che la caduta delle ideologie lascia spazio a una sorta di bricolage dei simboli dietro i quali far marciare le passioni collettive, che finiscono così per rivelarsi davvero molto prêt-à-porter, al punto da venire presi a prestito persino dai fumetti.

Un simbolo ipermoderno e originalissimo, dunque. Ma, al tempo stesso, una manifestazione di nostalgia. Perché la maschera del ribelle, volto intercambiabile che accomuna tutti gli indignati, finisce per ristabilire un filo diretto col passato, saltando a piè pari quella centralità dell'individuo che gli Anni Ottanta (quelli della crescita esponenziale dell'odiata finanziarizzazione dell'economia) sembravano avere stabilito una volta per tutte. E, così, l'indignazione mondializzata pare riportarci alla condizione del protagonista per antonomasia della conflittualità politica, l'uomo-massa, in questo caso in puro stile novecentesco. Mostrando anche, di rimpianto in rimpianto, una malcelata voglia di anticapitalismo duro e puro. È la «nostalgia canaglia» che, sepolto il keynesismo, rende evidente il bisogno di una nuova teoria politica capace di pensare anche una qualche forma di economia più giusta. Rigorosamente, però, liberale e di mercato.

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