La «fantasia al contropotere» si potrebbe dire; e, infatti, dalla New York di Occupy Wall Street agli scioperi di Atene, a impazzare tra chi si sente vittima del postmodernissimo «colpo di Stato» della finanza globalizzata è proprio questa maschera. Una novità clamorosa rispetto ai vessilli che venivano inalberati nel corso dei conflitti politici e delle proteste del Novecento. E il segno inequivocabile che la caduta delle ideologie lascia spazio a una sorta di bricolage dei simboli dietro i quali far marciare le passioni collettive, che finiscono così per rivelarsi davvero molto prêt-à-porter, al punto da venire presi a prestito persino dai fumetti.
Un simbolo ipermoderno e originalissimo, dunque. Ma, al tempo stesso, una manifestazione di nostalgia. Perché la maschera del ribelle, volto intercambiabile che accomuna tutti gli indignati, finisce per ristabilire un filo diretto col passato, saltando a piè pari quella centralità dell'individuo che gli Anni Ottanta (quelli della crescita esponenziale dell'odiata finanziarizzazione dell'economia) sembravano avere stabilito una volta per tutte. E, così, l'indignazione mondializzata pare riportarci alla condizione del protagonista per antonomasia della conflittualità politica, l'uomo-massa, in questo caso in puro stile novecentesco. Mostrando anche, di rimpianto in rimpianto, una malcelata voglia di anticapitalismo duro e puro. È la «nostalgia canaglia» che, sepolto il keynesismo, rende evidente il bisogno di una nuova teoria politica capace di pensare anche una qualche forma di economia più giusta. Rigorosamente, però, liberale e di mercato.
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