lunedì 19 novembre 2012

AMERICAN DREAM. RISPOSTA AD OSTELLINO, di ANTONIO NICITA, Ostellino, la propaganda liberista e il sogno bianco-americano, IL FATTO, 19 novembre 2012


Il vecchio e inutile dibattito “Stato o Mercato” non solo è teoricamente ed empiricamente sbagliato – e storicamente superato in favore della complementarietà istituzionale e della varietà dei capitalismi – ma è anche del tutto inadeguato come paradigma interpretativo della crisi socio-economica che viviamo e delle complesse politiche (e del loro timing) che occorre attuare per uscirne.

Antonio Nicita è economista. Professore associato di Politica economica dal 2001, insegna all'Università di Siena e alla Luiss Roma. Si occupo di economia e diritto, economia industriale, regolazione dei mercati, antitrust. Tra i fondatori della Società Italiana di Diritto ed Economia e autore di vari articoli e libri. Sostiene che gli economisti e i giuristi debbano parlarsi sempre di più per migliorare la sostanza delle regole nel nostro paese



Purtroppo, il dibattito politico-economico ha preso questa piega di contrapposizione ideologica, negli Usa come in Italia. Tra l’altro non è più nemmeno un dibattito, trattandosi, a ben vedere, di monologhi paralleli. Che, tragicamente, hanno entrambi parti di ragione e di torto. Perché l’Italia è messa talmente male su vari fronti che anche ricette opposte possono apparire entrambe convincenti, purché superino lo status quo.
Sorprende invece la china che da noi ha preso il dibattito Stato-Mercato a proposito degli Stati Uniti.
Persino una debole riforma sanitaria ‘in salsa europea’ come il timido Obamacare, un programma di stimulus tutto sommato assai contenuto, il salvataggio delle banche (dopo il drammatico default di Lehman) viene letto dai nostri liberisti (e non dalle signore del Tea Party) come un disastro.
Alberto Alesina ha commentato su La7 la vittoria di Obama come una tragedia nazionale e internazionale, della quale dovremmo occuparci tra quattro anni. Persino Luigi Zingales che in Italia si era schierato con il candidato democratico Renzi, rivela che in America avrebbe votato Romney, addirittura con un endorsement retroattivo su Bloomberg. Nel suo libro sul Manifesto capitalista (un ricco elenco di slogan liberisti) Zingales identifica il sogno americano con il liberismo estremo e dunque presentando come minaccia a quel sogno tutto ciò che indebolisce la free market society.
Arriva poi Piero Ostellino sul Corriere e ci spiega che noi europei non abbiamo capito niente delle elezioni americane. Il ‘professor’ Ostellino ci propone, bontà sua, un ulteriore passaggio dialettico: proprio perché il sogno americano è liberista, Obama non lo rappresenta più.
Ci pare un po’ troppo, sinceramente. Ci aveva convinto di più Michelle Obama (la ascolti Ostellino, sta su Youtube) quando disse che “Barack crede più di ogni altro al sogno americano perché lui lo ha vissuto” e che quel sogno esiste se viene data un’opportunità a tutti, “indipendentemente da chi sei, da dove vieni, dal colore della tua pelle o dal genere della persona che ami”.
Per Ostellino, invece, ogni occasione è buona per fare un po’ di propaganda liberista. E dunque la matrice di quella opportunità americana sta nel fatto che te la devi trovare da solo. Non ha importanza se sei povero, se non ti puoi curare, se non ti puoi istruire. Non conta, se devi gareggiare i cento metri, partendo dalla linea dei 400. Per Ostellino il sogno americano è liberista. E basta. Se ci metti più politiche pubbliche, più solidarietà, più inclusività, finisce il sogno. Quindi è un sogno diseguale, asimmetrico per definizione. In effetti, non è più nemmeno un sogno, è un miraggio. Il fatto che la società americana si sia evoluta fino ad estendere il concetto libertà includendovi quello di capacità à la Sen non rivela la capacità del sogno di vincere e di auto-alimentarsi, ma al contrario, secondo Ostellino, la sua sconfitta.
E dunque Obama ha vinto, ma lo avrebbe fatto per Ostellino proprio in quanto avrebbe ucciso il sogno americano, perché negli Usa “quelli che si aspettano di essere aiutati dallo Stato sono, ora, in maggioranza, e in minoranza è finita l’America individualista, bianca, anglosassone, protestante, dei Padri fondatori e dei primi duecento anni della sua storia.” Sarebbe interessante sapere cosa ne pensi la first lady. Dovremmo tradurre il pezzo di Ostellino e recapitarlo all’ambasciata Usa.
Eh già, perché il sogno americano per Ostellino non è solo liberista, è pure bianco.
Ecco. Qui si rivela il livore e la distorsione del liberismo che abbandona il piano dl dibattito e diventa tifo ideologico. Ma per fortuna, quando si rivela nella sua forma più antica e incolta, quel liberismo perde. Perché se liberista finisce per far rima con razzista, allora il sogno americano ha un futuro solo se i liberisti cow-boys continueranno a perdere le elezioni.
Ci spiace per Ostellino, ma a noi convince di più Michelle. Che oggi sogna ad occhi aperti, per altri quattro anni, anche per quelli che non sapranno aprirli mai.

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