Tre morti ammazzati e ventotto feriti da arma da fuoco. Ogni lunedì il dipartimento di polizia fa il bilancio del weekend di una delle città più pericolose d’America: Chicago. Fra le vittime c’è un bambino di otto anni e una ragazzina di undici. I proiettili, insensibili all’età, non li hanno risparmiati. A dirla tutta, la notizia è una non notizia, si confonde fra la cronaca politica e i fatti del giorno, scorre come acqua fresca perché a Chicago un week end così è la norma. Certo, non si spara nelle vie del centro e neppure nei quartieri bianchi, «ma al di sotto della sessantesima strada mi rifiuto di andare. Non accetto la corsa», racconta un tassista messicano, riferendosi a uno dei quartieri meno raccomandabili della città, il South Side, Chicago sud, dove c’è un sobborgo che si chiama Terror Town ed è facile indovinare perché. Il tassista ci mostra il video di un gruppo di ragazzini che spara a un teenager: «L’hanno ammazzato». È successo poche settimane fa in un’altra area critica, il West Side, che dista quattro chilometri dagli splendenti grattacieli del Loop, la zona dei turisti, degli affari, dei negozi.
"Siamo inondati dalle immagini di Hollywood e da una visione del mondo filtrata attraverso lo sguardo yankee. Poi vai negli USA e ti accorgi che la realtà è diversa da come gli americani la raccontano, il che ti fa pensare che il modo in cui vogliono essere visti sia lo specchio di un disagio rispetto a quello che effettivamente sono" (A. Dominik, regista australiano)