giovedì 9 maggio 2019

VIOLENZA MADE IN USA. G. RIVA, A Chicago ci sono troppe armi: ogni giorno è una strage, L'ESPRESSO, 26 aprile 2019

Tre morti ammazzati e ventotto feriti da arma da fuoco. Ogni lunedì il dipartimento di polizia fa il bilancio del weekend di una delle città più pericolose d’America: Chicago. Fra le vittime c’è un bambino di otto anni e una ragazzina di undici. I proiettili, insensibili all’età, non li hanno risparmiati. A dirla tutta, la notizia è una non notizia, si confonde fra la cronaca politica e i fatti del giorno, scorre come acqua fresca perché a Chicago un week end così è la norma. Certo, non si spara nelle vie del centro e neppure nei quartieri bianchi, «ma al di sotto della sessantesima strada mi rifiuto di andare. Non accetto la corsa», racconta un tassista messicano, riferendosi a uno dei quartieri meno raccomandabili della città, il South Side, Chicago sud, dove c’è un sobborgo che si chiama Terror Town ed è facile indovinare perché. Il tassista ci mostra il video di un gruppo di ragazzini che spara a un teenager: «L’hanno ammazzato». È successo poche settimane fa in un’altra area critica, il West Side, che dista quattro chilometri dagli splendenti grattacieli del Loop, la zona dei turisti, degli affari, dei negozi.





E pensare che Chicago è una delle città più ricche d’America, ma è mal distribuita: è un insieme di atolli di benessere e ricchezza, immersi in terre di degrado e rabbia, dove «acquistare una pistola è facile tanto quanto comprare un pacchetto di sigarette a una stazione di benzina», ammette Wesley Pickett, che sta scontando otto anni di carcere per traffico d’armi illegali. «Siamo come salmoni che cercando di risalire la corrente», racconta un poliziotto per descrivere l’impossibilità di star dietro a sei mila armi illegali che ogni anno vengono spacciate in città.

Il conto dei morti fa impressione: seicento omicidi l’anno, quattromila dal 2011 a oggi e diciannovemila feriti negli ultimi sette anni. Ne parla Jens Ludwig, direttore di Crime Lab dell’University of Chicago, centro nazionale per la ricerca sul crimine negli Stati Uniti che mostra il grafico delle città più pericolose degli States. In cima c’è Saint Louis, nel Missouri, dove ci sono stati 60,3 omicidi per 100 mila abitanti nel 2018, seguono Baltimora e Detroit, rispettivamente 50,4 e 39, poi Philadelphia, Chicago e Milwaukee, 21 omicidi ogni 100 mila abitanti, mentre la situazione è nettamente migliore a Los Angeles e New York, 6,3 e 3,4. Per capirci, l’Italia ha un tasso di omicidi da arma da fuoco di 0,7 ogni centomila abitanti, un decimo della media americana. «È un problema americano, tuttavia Chicago è davvero un caso a sé. Perché pur essendo fra le città più grandi, avanzate, agiate e teoricamente sicure del mondo, registra un tasso di criminalità elevatissimo, parecchio distante da città simili, come New York e Los Angeles».

VEDI ANCHE:

salviniarmi-jpg

Chi c'è dietro la lobby delle armi

Salvini e Meloni sono  in prima linea sul fronte  del “fuoco facile”.  Ma dietro di loro c’è una rete europea. E un’industria  che fiuta il grande business


Il Crime Lab ha comparato il volume di violenze ed omicidi degli ultimi 130 anni nelle principali città americane: «Ci troviamo in un momento unico. Se guardiamo alla media degli omicidi da arma da fuoco a Chicago, New York e Los Angeles vediamo che seguono più o meno lo stesso andamento, con due eccezioni. Uno è negli anni Venti del protezionismo, dove a Chicago c’è stata un’esplosione di violenza, l’altro è oggi. Mentre New York e Los Angeles hanno ridotto drasticamente le morti, a Chicago non è successo perché il problema della violenza d’arma da fuoco è legato all’ineguaglianza fra quartieri», spiega Ludwig. «C’è ancora un problema di segregazione sociale qui. Infatti il 25,6 per cento degli omicidi è avvenuto a danno di neri tra i 15 e i 24 anni, il 35,6 per cento di ispanici, il 7 per cento su ragazzi bianchi. Non è un problema di sicurezza sociale, ma di mancanza di healthcare, che non significa solo salute, accesso al cibo e aspettativa di vita, ma anche disparità tra bianchi e neri e impossibilità di aspirare a un lavoro, a una vita migliore».

Tant’è che il problema delle sparatorie in città è diventato il tema caldo delle recenti elezioni comunali che si sono concluse a inizio Aprile. Il nuovo sindaco è Lori Lightfoot, avvocato, nera, lesbica, le cui origini affondano proprio in quel devastato South Side. Lightfoot ha fatto della battaglia al traffico d’armi illegali il proprio punto di forza. Così, mentre in Italia la Lega riesce prima a far passare una legge sulla legittima difesa e ora rilancia con una nuova proposta che punta a facilitare l’acquisto di armi, a Chicago si vincono elezioni promettendo di ridurne la presenza. Già, perché la violenza non è solo un problema di morti ammazzati, ma anche di pil e di benessere.

Secondo una ricerca del Crime Lab dell’Università di Chicago, ogni omicidio persuade 70 residenti a lasciare la città e migrare in luoghi più sicuri, portando con sé il benessere e la ricchezza che producevano in città: «Il problema della violenza armata è una minaccia per il futuro di Chicago, o quantomeno per la Chicago che conosciamo noi. Se la città avesse ridotto i propri omicidi, seguendo l’esempio di New York, avremmo seicentomila persone in più». Non solo: «Il tasso di suicidi fra gli ufficiali di polizia di Chicago è del 60 per cento superiore alla media nazionale. Spendiamo un sacco di tempo e di energie cercando di curare i traumi sui bambini del South e West Side che hanno assistito ad omicidi, ma c’è anche il problema di come affrontare lo shock subito dai poliziotti ogni giorno. Un problema che al momento non abbiamo le risorse per affrontare», continua Ludwig, che conclude affermando che, al di là della strategia, per invertire la rotta serviranno un mucchio di soldi. Soldi per invertire la rotta, dunque. Chissà se al di qua dell’Oceano il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha mai pensato che, alla lunga, favorire la detenzione d’armi costerà altri soldi ai contribuenti italiani.

Il problema, del resto, non è tanto legislativo, quanto sociale. L’Illinois e quindi Chicago, hanno una normativa piuttosto severa, e infatti la maggior parte delle pistole in circolazione è illegale e senza proprietario. Il dipartimenti di Polizia di Chicago ha stimato che nel 2018 sono state messe in circolazione seimila armi illegali in città. In Indiana, appena oltre il confine, acquistare un’arma è facilissimo e per questo circa il 21 per cento delle pistole confiscate a Chicago provengono da negozi che si trovano a pochi chilometri. E il fenomeno è tutt’altro che in declino: «Il traffico d’armi non è come quello della droga, dominato da cartelli e da gang. Somiglia più al modo in cui i teenager recuperano la birra il sabato sera, ogni adulto è un potenziale fornitore, che può andare in un negozio, mostrare la propria carta d’identità, acquistare una bottiglia e rivenderla ai ragazzini», dice Philip Cook, ricercatore del Crime Lab dell’University di Chicago.

Un’enorme sfida per il sindaco Lightfoot, che parte proprio dall’idea di voler coinvolgere le autorità degli Stati confinanti per contrastare l’ingresso di armi illegali. Ma vede oltre: «La violenza a cui assistiamo è un’epidemia, ed è provocata dalla crisi del sistema sanitario e assistenziale pubblico. Molti sono crimini tra poveri e questo significa che ci sono troppe persone che sono state lasciate indietro, che si sentono lontane dalla possibilità di godere della ricchezza di questa città. Lo conferma il fatto che circa il 25 per cento di chi commette crimini è disoccupato. Serve un investimento su queste persone, su questi quartieri», ha spiegato Lightfoot in campagna elettorale. Altri soldi, dunque. Più facile a dirsi che a farsi. La stessa University of Chicago, che si trova ad Hyde Park, quartiere incastonato proprio nel South Side, da tempo cerca di sconfinare al di là di Washington Park, per conquistare spazi residenziali e zone nuove per l’università, per strapparli all’illegalità. Ma i risultati non si vedono. E neppure il fatto che l’ex inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, sia partito proprio da qui per vincere la campagna presidenziale - la casa degli Obama si trova ad Hyde Park - è servito a invertire la rotta. Tutt’altro.

Non solo gli attivisti, come Ja’Mal Green, hanno accusato la famiglia Obama di assenza e lontananza dai problemi del South Side, ma si è anche creata una sorta di disaffezione dall’ex vicino di casa, che si vede sempre meno da queste parti. Nonostante gli sforzi della famiglia Obama di riallacciare il dialogo, proponendo la creazione di un grande centro culturale proprio in quell’area, gli attivisti, gli ambientalisti, i delusi e gli scettici si sono opposti. Anche di fronte alla promessa di cinquemila posti di lavoro hanno detto no. Chiudendosi a riccio nel proprio malessere, convinti che l’epidemia sia ormai incurabile.

© Riproduzione riservata

Nessun commento:

Posta un commento