giovedì 14 gennaio 2021

EPIDEMIE PANDEMIE E CONSUMISMO. PANCHERI G., I danni devastanti del Covid-19 sulle società basate sul consumo, L'ESPRESSO, 10 gennaio 2021

 Solo a New York City, i 78 giorni di lockdown della prima ondata sono costati secondo le stime 13,5 miliardi di dollari; il tasso di disoccupazione è passato da uno dei minimi storici, il 3,4% di febbraio, al 20,4% di giugno.





Certo New York non è l’America, ma sicuramente ne è uno dei motori economici, la goccia da cui si capisce la temperatura del mare, un mare che non è mai stato così agitato dal dopoguerra. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale stimano un calo del Pil americano nel 2020 del 4,3%; non è poco, e in un’economia come quella americana questo dato è destinato ad avere un impatto devastante. Ma è un dato comunque più contenuto di quello delle altre grandi economie del G7, e questo anche grazie agli ingenti pacchetti di aiuti che sono stati messi in campo: 3.000 miliardi di dollari stanziati solo tra marzo e luglio per aiutare l’economia.

Gli Usa non hanno certo risparmiato la loro potenza di fuoco impressionante se si pensa che l’Unione Europea tra Recovery Fund, Mes, programma Sure per l’occupazione e prestiti della Banca europea per gli investimenti non arriva a mobilitare la metà dei fondi americani, fra l’altro con tempi di erogazione molto più lunghi. D’altronde, in un anno elettorale in cui l’economia doveva essere il suo fiore all’occhiello, il Presidente Trump non ha voluto risparmiare risorse, aiutato anche in una prima fase dal Congresso che ha provato a mettere da parte le differenze per raggiungere inizialmente una serie di accordi bipartisan che evitassero il collasso di famiglie e imprese in un paese dove tradizionalmente si va avanti di settimana in settimana senza ammortizzatori sociali.

Finanziamenti per la sanità, rinvio dei pagamenti delle tasse, moratorie sugli affitti, investimenti per l’istruzione, prestiti alle piccole e medie imprese, sussidi di disoccupazione federali da 600 dollari al mese poi scesi a 400, e soprattutto un assegno da 1.200 dollari firmato da Donald Trump per tutti i redditi inferiori ai 100.000 dollari l’anno: gli americani hanno improvvisamente scoperto i benefici dell’assistenza pubblica, anche se i risultati a livello macroeconomico non sono stati quelli sperati.

Secondo le stime dell’Ufficio budget del Congresso, il debito schizzerà in alto nel 2020 con un deficit al 16% del prodotto interno lordo, numeri che non si vedevano dal 1945. Tuttavia, e questo va annoverato tra i meriti di Trump che non ha mai esitato quando si è trattato di mettere mano al denaro federale, questa crisi è riuscita a edulcorare la rigida idiosincrasia della politica americana, e in particolare dei repubblicani, verso la spesa pubblica. Un cambio di rotta improvviso e rivoluzionario che è destinato ad aprire scenari inediti.

Ad anticipare la positività di questo nuovo approccio è stata Wall Street che ha segnato un’estate di record al rialzo anche per questo, ma non solo. «Il mercato ormai è staccato dall’economia reale: questa crisi viene percepita come transitoria, l’impressione è che con la cura o il vaccino la ripresa sarà rapida», mi spiega l’executive vice president di Goldman Sachs, John F. W. Rogers, quando ci incontriamo per un colloquio che per lo più dovrà rimanere off the record. Siamo ancora nelle fasi iniziali della riapertura di New York. Il quarantaduesimo piano che ospita gli uffici degli executives di Gs è completamente deserto. A differenza di quanto accade in Italia, qui i singoli uffici si somigliano tutti, e anche i massimi dirigenti hanno degli spazi personali relativamente modesti e rigorosamente con pareti di vetro trasparente. A essere riservate sono invece alcune sale riunioni che, a seconda delle esigenze, possono essere allestite per pranzi, cene e prime colazioni.

L’unica costante è la vista a 360° da togliere il fiato: New York e la finanza mondiale sono letteralmente ai tuoi piedi, una scelta architettonica che non credo sia casuale. Dal lato sud-ovest si possono ammirare i 1.776 piedi (esattamente come l’anno della firma della Dichiarazione d’Indipendenza) della Freedom Tower progettata da Daniel Libeskind, una lancia di cristallo che ha ridato luce al cielo ferito di Manhattan. «L’11 settembre la nostra sede era dalla parte opposta delle torri rispetto a dove siamo noi ora», mi racconta John con una voce insolitamente più esitante. «Non sono tornato a casa per una settimana, ho dormito in ufficio, sono uscito solo la sera dell’attacco perché volevo vedere come era la situazione per strada e perché volevo raccogliere un po’ di questa», dice mostrandomi una piccola fiala di vetro piena di polvere: la polvere delle Torri Gemelle disintegrate che uno degli uomini più potenti della finanza mondiale tiene sempre a vista nella libreria del suo ufficio per ricordarsi che nella vita anche ciò che sembra più saldo, solido e indistruttibile può finire in frantumi in un attimo.

«E questa di crisi come sarà? Perché la borsa sta reagendo così positivamente? Solo perché la vede come passeggera?».

«Per questo e perché stiamo assistendo a un cambio degli investimenti verso prodotti a rischio più basso e, in questo momento, ad altissimo rendimento come i tecnologici e i farmaceutici. Gli investitori stanno indirizzando i loro portafogli su questi settori e vedono anche che lo Stato sta intervenendo con massicce iniezioni di liquidità per mitigare i danni. Ma l’autunno sarà lungo e complesso e non solo per le elezioni: bisogna capire se riprenderà la spesa dei consumatori».

I consumi, infatti, hanno subito un crollo preoccupante: -12,9% ad aprile, + 8,6% a maggio quando sono iniziati ad arrivare i primi assegni pubblici, per poi riscendere al 6,2% a giugno e all’1,9% a luglio e appena allo 0,5% a ottobre. Non una bella notizia in un paese in cui il Pil è composto per due terzi dai consumi privati (in Italia l’impatto dei consumi sul Pil è di circa il 60%, mentre scende attorno al 50-52% in Francia e in Germania). E qui risiede la vera beffa della pandemia per l’economia americana: questo è un virus che infetta e distrugge dall’interno le società basate sui consumi.

Obbliga a fermarsi, a restare a casa, a non interagire, a non viaggiare, a evitare gli spazi chiusi e le strade affollate; questo virus è la peste nera per le economie che sono fondate sulla spesa dei cittadini, che sono costruite per spingerla all’estremo. Dai megastore di New York ai centri commerciali, principali luoghi d’incontro nelle periferie urbane di tutto il paese, dai megaschermi di Times Square alle strategie pubblicitarie pervasive dei colossi della Silicon Valley, l’America è pensata per bisbigliare costantemente all’orecchio dei cittadini un solo mantra: comprare, comprare, comprare...

Ma il Coronavirus ha silenziato questa voce, ha resettato le priorità, non c’è più spazio o disponibilità per il superfluo, ogni acquisto viene ponderato. L’incertezza diffusa induce al risparmio mettendo in discussione meccanismi economici e sociali consolidati e obbligando a riconsiderare il paradigma finora predominante all’ombra del toro di Wall Street o della cupola del Campidoglio secondo cui ogni persona, prima di essere cittadino, è consumatore.

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