Single, famiglie allo sbando
e bambini, che vivono come zingari, trovano rifugio in alberghetti senza pretese sparsi sull’autostrada che
porta al parco divertimenti
Dal boom delle case del 2004-2006, alla vergogna dei bambini homeless del 2012. La Florida della speculazione immobiliare gonfiata dai mutui subprime è diventata la terra dei «senza fissa dimora», gente che ha perso l’abitazione e vive in motel. Il teatro di questo dramma sociale è già di per sé una avvilente ironia: l’autostrada 192, una delle highways che portano al parco divertimenti di Disney World ad Orlando, cuore pulsante dell’economia dello Stato e meta dei sogni dei ragazzini. E’ lungo questa arteria che la teoria di alberghetti per automobilisti senza pretese ma con tanto sonno da non poter proseguire il viaggio, s’è trasformata nella destinazione per il popolo del “welfare fai da te”.
Singoli, e anche tanti nuclei famigliariallosbando,chedevonocavarsela come possono sfuggendo ai creditori, talvolta alla legge, e sempre adattandosiasoluzionieconomicheprecarie: non hanno più un indirizzo conosciuto,esonoforzatiacambiaredimora anche più volte in anno, traslocandodamotelamotel.Lavitadeipiùpiccoli,inquestecondizioni,ricalcailmodello zingaresco. Come è il caso di Melissa, 12 anni, andata a vivere in un albergo due anni fa con suo padre e suo fratello. Quando i bambini giocavano a nascondino, era la più brava a sparire nelle fessure del terreno incolto che separava l’hotel dallo stradone asfaltato. Aveva imparato dov’erano le scritte più sporche sui muri scrostati nei sottopassi e le mostrava con orgoglio agli amichetti. Se voleva fuggire dai litigi tra il babbo e la mamma, riapparsa dopo la separazione, spariva per ore nelle paludi e nei boschi vicini.
Una piccola selvaggia, passata dal divertimento iniziale di una vita nella natura post-metropolitana alla stanchezza esistenziale: «Prima mi piaceva, adesso sono stufa», ha detto a Saki Knafo, giornalista dell’Huffington Post che ha condotto un’inchiesta sul fenomeno. Melissa è “fissa”, ma per lo più i bambini cambiano spesso scuola, e in ogni classe sono sempre più disadattati: le maestre dicono che è come se retrocedessero automaticamente di un semestre ogni volta.
Secondo il dipartimento dell’Educazione della Florida, ci sono come minimo 2000 bambini che abitano negli hotel delle contee centrali dello Stato, ma ciò non comprende tutti quelli non ancora in età scolare, e neppure coloro che hanno smesso di frequentare, per scelta obbligata dalla disgregata situazione famigliare. Non è un fenomeno limitatoaquestaarea,peraltro,eiltrend è in forte crescita. Il ministero federale dell’Istruzione ha identificato 47mila bambini americani che vivono precariamente in una camera d’albergo: il numero è in aumento del 38% dal 2007, agli inizi della crisi. Il ricovero di famiglie sfrattate dalle residenze normali e finite negli alberghi, per lo più di terza categoria, è l’ultima manifestazione della povertà in America, e pure se amara, rappresenta un miglioramento dai tempi passati. Durante la Grande Depressione degli Anni Trenta sorsero come funghi baraccopoli alle periferie delle città, ma anche nel cuore delle metropoli: a New York, per esempio, Central Park divenne un “rifugio” di spiantati. Negli Anni Ottanta, furono gliostelliorganizzatidallemunicipalità ad offrire un tetto ai bisognosi, e ancora oggi questa soluzione esiste. Quando ad essere sul lastrico è un capofamiglia con prole, oggi la camera d’albergo dà però almeno un po’ di privacy.
Se tutti gli Stati ricorrono agli alberghi per tamponare condizioni di disagio esplosive, la fila dei motel senza stelle alla misera tariffa d’affitto settimanale da 147 dollari è l’espressione più amara dei fallimenti personali e sociali di una fetta fragile dell’economia americana: lungo la strada che porta a Paperon de’ Paperoni.
Singoli, e anche tanti nuclei famigliariallosbando,chedevonocavarsela come possono sfuggendo ai creditori, talvolta alla legge, e sempre adattandosiasoluzionieconomicheprecarie: non hanno più un indirizzo conosciuto,esonoforzatiacambiaredimora anche più volte in anno, traslocandodamotelamotel.Lavitadeipiùpiccoli,inquestecondizioni,ricalcailmodello zingaresco. Come è il caso di Melissa, 12 anni, andata a vivere in un albergo due anni fa con suo padre e suo fratello. Quando i bambini giocavano a nascondino, era la più brava a sparire nelle fessure del terreno incolto che separava l’hotel dallo stradone asfaltato. Aveva imparato dov’erano le scritte più sporche sui muri scrostati nei sottopassi e le mostrava con orgoglio agli amichetti. Se voleva fuggire dai litigi tra il babbo e la mamma, riapparsa dopo la separazione, spariva per ore nelle paludi e nei boschi vicini.
Una piccola selvaggia, passata dal divertimento iniziale di una vita nella natura post-metropolitana alla stanchezza esistenziale: «Prima mi piaceva, adesso sono stufa», ha detto a Saki Knafo, giornalista dell’Huffington Post che ha condotto un’inchiesta sul fenomeno. Melissa è “fissa”, ma per lo più i bambini cambiano spesso scuola, e in ogni classe sono sempre più disadattati: le maestre dicono che è come se retrocedessero automaticamente di un semestre ogni volta.
Secondo il dipartimento dell’Educazione della Florida, ci sono come minimo 2000 bambini che abitano negli hotel delle contee centrali dello Stato, ma ciò non comprende tutti quelli non ancora in età scolare, e neppure coloro che hanno smesso di frequentare, per scelta obbligata dalla disgregata situazione famigliare. Non è un fenomeno limitatoaquestaarea,peraltro,eiltrend è in forte crescita. Il ministero federale dell’Istruzione ha identificato 47mila bambini americani che vivono precariamente in una camera d’albergo: il numero è in aumento del 38% dal 2007, agli inizi della crisi. Il ricovero di famiglie sfrattate dalle residenze normali e finite negli alberghi, per lo più di terza categoria, è l’ultima manifestazione della povertà in America, e pure se amara, rappresenta un miglioramento dai tempi passati. Durante la Grande Depressione degli Anni Trenta sorsero come funghi baraccopoli alle periferie delle città, ma anche nel cuore delle metropoli: a New York, per esempio, Central Park divenne un “rifugio” di spiantati. Negli Anni Ottanta, furono gliostelliorganizzatidallemunicipalità ad offrire un tetto ai bisognosi, e ancora oggi questa soluzione esiste. Quando ad essere sul lastrico è un capofamiglia con prole, oggi la camera d’albergo dà però almeno un po’ di privacy.
Se tutti gli Stati ricorrono agli alberghi per tamponare condizioni di disagio esplosive, la fila dei motel senza stelle alla misera tariffa d’affitto settimanale da 147 dollari è l’espressione più amara dei fallimenti personali e sociali di una fetta fragile dell’economia americana: lungo la strada che porta a Paperon de’ Paperoni.
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