Nel suo saggio - purtroppo non ancora tradotto in italiano malgrado
l’interessante dibattito che la sua pubblicazione ha acceso negli USA -
“Empire of Illusion”, Chris Hedges (giornalista,
vincitore del premio Pulitzer), sostiene che la cultura di massa americana (che
chi scrive questo commento per inciso nota viene massicciamente e acriticamente
importata nel nostro paese) è una cultura di Peter Pan che ci chiede di chiudere
gli occhi e di vedere solo ciò che più ci piace.
Questa regressione nel
mondo delle illusioni – non importa se sorretta da psicologi positivisti, da
Hollywood o da predicatori cristiani - non è altro che un forma di pensiero
magico, che consegna la nostra società a cannibalizzare se stessa mentre si
smarrisce in una sorta di oblio di massa.
La cultura delle illusioni in cui
viviamo, impera inondandoci di promesse di felicità e celebrità propinateci da
chirurghi estetici, guru della forma fisica, terapisti, interior designers,
medici dietisti, consulenti della moda. Tutti insieme uniti nell’assicurarci, e
rassicurarci, che saremo tutti felici e che questa felicità ci verrà da come
presentiamo noi stessi agli altri: in altre parole, a come ci offriamo in
“pasto” agli occhi del pubblico.
In questa dittatura delle illusioni,
Hedges, mette in luce lo stretto rapporto che, ad esempio, intercorre la tra
violenza, la crudeltà e la degradazione della pornografia, in una società che ha
perso la sua capacità di empatia, e quanto accaduto nella prigione di Abu Graib.
Secondo l’autore le raccapriccianti fotografie dei prigionieri umiliati e
degradati, come uno specchio riflettono la perversione corrente nella nostra
società. Quelle immagini di persone forzate a masturbarsi o a mettersi in posa
per simulare atti sessuali, parlano lo stesso linguaggio della pornografia, del
wrestling, dei reality televisivi, che quotidianamente siamo ormai assuefatti a
vedere ed introiettare. E’ il linguaggio del controllo assoluto, del dominio
totale, dell’umiliazione e della sottomissione, che degrada gli altri essere
umani a meri strumenti, a degli oggetti.
Similmente la bancarotta della
nostra economia, discende direttamente dall’assalto compiuto contro la stessa
umanità. L’abbandono dell’umanismo ha permesso alle nuove élites economiche (con
la loro fede cieca al sistema finanziario che hanno nutrito, arricchito e
rafforzato) di organizzare l’educazione e la società attorno a domande e
risposte predeterminate. Nelle università di economia agli studenti si insegna
unicamente la risoluzione di specifici problemi in grado di sostenere il mercato
capitalista, senza però fargli acquisire capacità di riflessione critica. E non
importa se così facendo si perde la qualità più importante per resistere al
male: l’autonomia morale, possibile solo attraverso la riflessione,
l’auto-determinazione ed il coraggio - se del caso - di non cooperare.
Hedges riprendendo la tesi della famosa opera del filosofo Sheldom
W. Wolin (professore alla Princeton University), Democracy Inc.
(pubblicato nel 2008 da Princeton University Press, ma non ancora tradotto in
Italia), rimarca come noi oggi viviamo in un sistema di totalitarismo
invertito (inverted totalitarianism). Se nel totalitarismo
classico l’economia era subordinata alla politica, nel totalitarismo invertito è
la politica ad essere interamente subordinata all’economia. Con l’aumento dei
consumi sociali e la mercificazione di ogni bene, comprese le risorse ambientali
e lo stesso essere umano, nulla ha più un valore intrinseco. Ciò che conta è
solo abilità a creare soldi e non importa quante disuguaglianze in questo modo
sono state create o quanto si è distrutto il sistema che equità sociale che
sostiene la specie umana: con l’imperare della cultura della celebrità della
cultura dei consumi di produce solo una politica spazzatura (junk
politic) e una cultura spazzatura (junk culture).
"Siamo inondati dalle immagini di Hollywood e da una visione del mondo filtrata attraverso lo sguardo yankee. Poi vai negli USA e ti accorgi che la realtà è diversa da come gli americani la raccontano, il che ti fa pensare che il modo in cui vogliono essere visti sia lo specchio di un disagio rispetto a quello che effettivamente sono" (A. Dominik, regista australiano)
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