P roviamo ad avvicinarci ai Racconti dell' Ohio non come fosse un libro che vient-de-paraître, è pur sempre un libro del 1919 e tale resta; ma a mani nude, privi di scudi, lui e noi, lettori del XXI, quasi un secolo di distanza. La prima cosa che viene in mente è questa: I racconti dell' Ohio di Sherwood Anderson è un capolavoro in sé, non in quanto iscritto nella storia dell' autore o in quanto modello di questo e parente di quello.
Ecco la seconda notazione: sì, esso è costituito da ventiquattro racconti, ma davvero ne è la semplice somma? Non è per caso qualcosa di diverso, qualcosa di più: di più che un libro di racconti a tema come, per citarne due d' un suo sicuro lettore, Italo Calvino (penso a Cosmicomiche e a Palomar)? La somma, ventiquattro, è di natura trascendentale; essa formula una prodigiosa sintesi, una ricapitolazione d' un tema fra i più classici, la giovinezza. In coda alla sua fine (è il sentimento ispiratore ma non l' unico), la vita adulta non si affaccia: irrompe. Non c' è che vita adulta, ma quella degli altri, quella che con accanimento, quasi fosse niente altro che il prologo alle tenebre, il protagonista George Willard va spiando, scrivendone sul suo giornale, il «Winesburg Eagle». Ne scrive (così appare) attraverso gli occhi di Dio - in questo caso (l' anonimo) narratore: che una sola volta, in tutto il libro, dice la parola «credo». Lo dice a proposito d' un certo Enoch Robinson, un uomo che dal Middle West aveva osato trasferirsi a New York, dove alla fine lascia la moglie e rimane solo, «tra la gente della sua fantasia, a parlare e a giocare con essa, felice come un bambino. Le persone inventate da Enoch erano una combriccola ben strana. Io credo che fosse costituita da persone che egli aveva veramente visto e che per qualche oscuro motivo l' avevano colpito». Il dio di George Willard è fin troppo facile supporre sia il nostro (allora) quarantatreenne autore. Ma egli è così giovane da non ritenersi onnisciente: può supporre quali siano i pensieri della gente di Winesburg, i pensieri degli adulti; non può valutarne la consistenza. Da questa porta stretta dell' immaginazione, ovvero della prossimità ai propri simili (il titolo originale del libro di Anderson è Winesburg, Ohio e designa un paese di milleottocento abitanti, uno dei quali è il nostro cronista in erba), insomma dallo stile, ossia dal modo di accostarsi all' oggetto privilegiato (prezioso), noi, a nostra volta, possiamo avvicinarci al nocciolo sensibile del ragazzo e, attraverso lui, dell' autore. La puntigliosità, ovvero semplicità della frase. La ripresa di un sostantivo della frase precedente. Le domande - a volte irritanti, petulanti, ficcanaso. Sono tutte stimmate d' una grazia a volte cercata, a volte ricevuta. In Anderson (quello di A Story Teller' s Story è puro slancio, pura esclamazione withmaniana: chi altro scriverebbe «i suoi passi umani» invece che «i suoi passi»?), in questo Anderson pensiamo vi siano tracce d' una umidità di lacrime che nel suo vicino Hemingway, per quanto anch' egli giovane, ma se non altro grande poseur, si sono prosciugate. Quelle lacrime via via diminuiscono; la frase, ma mai troppo, si articola. Siamo infine liberi di fare un passo indietro e di vedere in prospettiva la forma di questo libro di racconti come nessun altro ne è stato concepito. Vi è in esso una struttura che potremmo dire a domino, lapalissiana (dichiarata) nel racconto in quattro parti Religiosità. Ma in genere lo scivolamento delle pedine, le pedine umane, è più sottile. Tornano i nomi, tornano i personaggi secondo prospettive diverse: ci sfugge, in questi slittamenti, quale sia il baricentro, dove George Willard sia finito, è egli stesso fluido, incline a una imprevedibile dissoluzione - quasi fosse un fantasma, non più un cronista, non più un ragazzo diciottenne. Ma una qualità (una virtù) vi è subito posta in luce, la si vede nelle mani (le ali) del maestro Wing Biddlebaum, un uomo che per la sua abitudine di toccare gli allievi sarà sospettato crudelmente - ingiustamente, poiché egli «era uno di quegli uomini in cui la forza creatrice di vita non è concentrata ma distribuita». Vale a dire la stessa virtù di Elizabeth Willard, la madre di George, che sognava di «dare qualcosa di se stessa a tutti». Vi sarà, per Elizabeth, un' altra occasione dopo quella perduta in gioventù. La scopriremo nel racconto Morte, dedicato a lei e al dottor Reefy. Un incontro inaspettato unisce queste due creature, così dissimili l' una dall' altra. Ciò che le unisce è che «qualcosa dentro di loro aveva lo stesso significato, desiderava lo stesso abbandono». Non consiste questo «abbandono» proprio nel distribuire la forza? Ma dominanti nei Racconti dell' Ohio (Newton Compton) sono i temi della diversità (l' uno dall' altro, non già, come oggi, dell' uno o degli uni rispetto ai supposti più) e quindi della solitudine. La solitudine, nel Middle West, è di casa, è per questo che così spesso si cerca d' andar via, quasi sempre verso New York o Chicago. Cruciali, in tal senso, sono Avventura e Il pensieroso - dove si consumano i destini di Alice Hindman, con la sua «volontà di mantenersi da sé» rifiutando la moderna concezione della donna che di se stessa dispone e «dà e riceve quel che vuole lei nella vita»; e di Seth Richmond che, benché l' ami, dirà a Helen White che non lui l' ama ma George Willard, come George gli aveva chiesto di dire. Proprio questo è il centro: le mille volte che i cittadini di Winesburg concepiscono un proposito, un desiderio; arrivano fino alla soglia del compimento d' esso; di colpo si ritraggono. Elmer Cowley detesta George; vede in lui lo spirito positivo della città; vorrebbe aggredirlo, ci rinuncia, si sente un fallito, un «diverso». Oppure: Ray non riesce a dire a Hal ciò che gli deve dire e si mette a correre gridando «la sua protesta contro la vita, contro tutta la vita». Infine quando il reverendo Curtis Hartman, che immensamente la desidera, vede Kate nuda, cosa fa, cosa pensa se non che ciò che ha visto è Dio, e deve dunque ritrarsi, desistere? RIPRODUZIONE RISERVATA
"Siamo inondati dalle immagini di Hollywood e da una visione del mondo filtrata attraverso lo sguardo yankee. Poi vai negli USA e ti accorgi che la realtà è diversa da come gli americani la raccontano, il che ti fa pensare che il modo in cui vogliono essere visti sia lo specchio di un disagio rispetto a quello che effettivamente sono" (A. Dominik, regista australiano)
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