martedì 3 gennaio 2012

USA E CAPITALISMO. Iside Gjergji, MAI DIRE CAPITALISMO!, IL FATTO, 3 gennaio 2012

Il capitalismo è brutto, vecchio come un abito logorato che ormai ha fatto il suo tempo e deve essere abbandonato e dimenticato in un armadio. E’ questo il pensiero dei giovani americani – specie di coloro che in questi mesi hanno partecipato al movimento “Occupy Wall Street” – registrato dal sondaggio realizzato dal Pew Research Center e pubblicato mercoledì scorso.

Il risultato del sondaggio, che viene effettuato ogni anno e che mira a conoscere gli orientamenti politici dei cittadini americani, ha sorpreso molti analisti politici. In tanti si aspettavano, infatti, un atteggiamento critico nei confronti dell’attuale amministrazione, ma quasi nessuno era pronto a scommettere sulla diffusione degli ideali socialisti tra gli americani. Eppure, i dati della ricerca ci rivelano che il 49% dei giovani americani, tra i 18 e i 29 anni, è “fan” del socialismo, mentre soltanto il 43% si dichiara contrario. Il risultato è ancor più sorprendente se si considera che soltanto venti mesi fa la situazione era completamente rovesciata, vale a dire che soltanto il 43% dei giovani americani era favorevole al socialismo e il 46% era contrario.

Il Pew Research Center classifica inoltre i suoi risultati dividendo la popolazione per età, razza, reddito e appartenenza politica. E così si scopre che la maggior parte dei “fan” del socialismo si trovano tra la popolazione nera e i simpatizzanti del partito democratico: cioè il 55% dei neri e il 59% dei democratici si dichiarano a favore del socialismo.

I risultati di questa ricerca giustificano bene le paure di Frank Luntz, il guru della comunicazione politica del partito repubblicano, il quale soltanto poche settimane fa si dichiarava terrorizzato dalla crescita della popolarità del movimento “Occupy Wall Street”: “Sono spaventato a morte dall’impatto che il movimento “Occupy Wall Street” sta avendo sul modo in cui gli americani vedono il capitalismo”. Luntz sta ora girando in lungo e in largo gli Stati Uniti per insegnare ai membri del partito repubblicano la nuova strategia comunicativa, che egli stesso sintetizza in 10 raccomandazioni:

1. Mai usare la parola “capitalismo. Al suo posto Luntz consiglia l’uso di altre espressioni: “libertà economica” o “libero mercato”;

2. Mai dire che il governo “tassa i ricchi. Secondo Luntz, infatti, occorre affermare che il governo “prende dai ricchi”;

3. Mai dire “classe media. Il termine adatto da utilizzare sarebbe “lavoratori contribuenti”;

4. Mai dire “lavoro. La parola giusta per la sostituzione sarebbe “carriera”;

5. Mai dire “spesa pubblica. Al suo posto Luntz consiglia la parola “spreco”;

6. Mai dire che si desidera raggiungere un “compromesso. Sarebbe un chiaro segno di debolezza, secondo Luntz, perciò egli ordina la sua sostituzione con il termine “cooperazione”;

7. La parola chiave da dire a un membro del movimento “Occupy Wall Street”, secondo Luntz, è: “Capisco(“Capisco che sei arrabbiato. Capisco che hai visto l’ineguaglianza. Capisco che vuoi migliorare il sistema”);

8. Mai dire “imprenditore”. Meglio usare le espressioni: “datore di lavoro” o “creatore di lavoro”.

9. Mai chiedere a qualcuno di “sacrificarsi”. Meglio dire che “siamo tutti sulla stessa barca. Possiamo avere successo o possiamo fallire insieme”.

10. Attribuire sempre la colpa a Washington.

Luntz la sa lunga e sa fiutare il pericolo prima di tanti altri, ma egli appare poco più che una “giovane marmotta” se paragonato ai “guru comunicativi” di casa nostra. Il riferimento è a quelli che definiscono “assoluzione” una semplice prescrizione, a quelli che parlano di “patto tra generazioni” per nascondere il più grande allargamento dello sfruttamento e della precarietà per tutti, padri e figli, a coloro che si riempiono la bocca con espressioni tipo “progetto fabbrica Italia” soltanto per cancellare il fatto che le fabbriche le stanno pian piano chiudendo tutte, che usano la parola “riforma” per promuovere le più feroci controriforme… e così via. Dinanzi a tale generale tendenza al rovesciamento di senso vengono in mente le parole di Guy Debord che, non molto tempo fa, affermava lungimirante: “Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale“. Cioè ora “non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede più che quello: il mondo che si vede è il suo mondo“.

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