mercoledì 31 luglio 2013

DIRITTI UMANI E RISARCIMENTO. ANGELA GERACI, Dimenticato in una cella per quattro giorni Studente risarcito con 4 milioni di dollari, IL CORRIERE DELLA SERA, 31 luglio 2013

L'incubo di Daniel Chong, 25 anni: senza acqua, cibo e bagno in una stanza senza finestre. Il governo Usa ora paga i danni


«Resisti ragazzo, ti veniamo a prendere tra un minuto». Queste sono state le ultime parole sentite da Daniel Chong, studente di ingegneria di 23 anni, prima di precipitare in un incubo. Di minuti però ne sono dovuti passare ben cinquemilasettecentosessanta: quattro lunghissimi giorni. Era l'aprile del 2012 quando Daniel è stato dimenticato dagli agenti di San Diego in una cella di 1 metro e mezzo per tre senza finestre e bagni, senza cibo e acqua. Da solo con la sua disperazione e le allucinazioni. Per sopravvivere ha bevuto la sua urina. Quando finalmente lo hanno liberato è stato ricoverato per disidratazione, insufficienza renale, crampi ed esofago perforato. In quattro giorni aveva perso quasi 7 chili. Per questo adesso Daniel ha raggiunto un accordo con il governo degli Stati Uniti e ha ottenuto un risarcimento di 4,1 milioni di dollari: un milione per ogni giorno di inferno, quasi 700 dollari per ognuno di quei lunghissimi minuti.

COSA ERA SUCCESSO - L'incubo di Daniel Chong è iniziato ad aprile dell'anno scorso quando è stato arrestato in un'operazione della Dea (Drug Enforcement Administration, l'agenzia federale antidroga statunitense). Il ragazzo si trovava a casa di un amico quando ci fu l'irruzione degli agenti. In casa vennero trovate 18 mila pasticche di ecstasy, altri tipi di droga e armi. Chong era lì per fare uso di marijuana. Insieme a lui vennero prese in custodia altre otto persone ma subito dopo l'interrogatorio le autorità decisero di far decadere le accuse contro di lui. Fu allora che l'agente Iredale gli disse di resistere, e che sarebbero tornati a prenderlo «fra un minuto».
L'ULTIMO MESSAGGIO INCISO SUL BRACCIO - Daniel ha raccontato di aver iniziato ad avere allucinazioni al terzo giorno di isolamento completo, senza acqua, cibo, un bagno. Ammanettato in una cella senza finestre, lontano da tutti. Prima ha provato inutilmente a raggiungere la valvola dell'impianto antincendio a spruzzo: ha fatto una «torre» impilando una coperta, i suoi pantaloni e le scarpe sopra una panca, ma la valvola era troppo in alto. È stato così che ha iniziato a bere la sua urina. Intanto perdeva ogni minuto di più la sua sanità mentale. Credeva, vittima di allucinazioni, che gli agenti volessero avvelenarlo con dei gas attraverso le prese d'aria. Quando la disperazione ha preso il sopravvento, Chong ha come «accettato» il fatto che sarebbe davvero morto in quella stanzetta. E ha pensato di incidersi sulla carne del braccio un messaggio per la mamma: «Sorry mom» (mi dispiace, mamma). Per farlo ha rotto gli occhiali e ha usato il vetro delle lenti per tagliarsi. È riuscito a finire solo la «S».
LA FINE DELL'INCUBO - «Tutto quello che desideravo era mantenermi lucido, preservare la mia sanità mentale - ha raccontato in aula Daniel -. Quello che mi stava succedendo non aveva alcun senso». Poi l'ultima prova disperata: ha fatto scivolare un laccio di scarpa sotto la porta e ha urlato con tutta la forza rimasta nei suoi polmoni. E finalmente qualcuno l'ha sentito: quando hanno aperto la porta il ragazzo era ricoperto dalle sue feci. Già all'epoca dei fatti la Dea ha fatto le sue pubbliche scuse per quanto accaduto. «È stato una specie di incidente - ha detto Daniel Chong - un incidente davvero, davvero brutto, orribile». Ora con il risarcimento ottenuto il ragazzo, che adesso ha 25 anni, vuole comprare una casa ai genitori e tenere del denaro da parte. Resta un mistero come sia potuta succedere una cosa del genere. Nessuno ha avuto una punizione disciplinare. Intanto la Dea ha introdotto norme di detenzione nazionali che comprendono l'obbligo di ispezioni giornaliere nelle celle e l'installazione di telecamere. Per evitare ad altri il calvario di Daniel Chong.

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