lunedì 25 maggio 2015

ALIMENTAZIONE MADE IN USA. E. TEBANO, I miei 11 giorni nutrendomi di Soylent il beverone che sostituisce il cibo, CORRIERE DELLA SERA, 25 maggio 2015

Il libretto illustrativo, come spesso succede quando ti vogliono vendere qualcosa, la prende alta e cita Feuerbach: «Se l’uomo è ciò che mangia, allora sei una persona sana e pratica». E ancora: «Questo mix di massa, energia e informazione è l’alimento base del futuro». La definizione ai limiti della fantascienza preannuncia il Soylent, un beverone color caffellatte che nelle promesse del suo inventore, il 26enne ingegnere californiano Rob Rhinehart, dovrebbe sostituire il cibo, garantendo all’organismo tutti i nutrienti necessari ma risparmiando tempo, denaro (un pasto costa meno di 4 dollari, circa tre euro) e risorse. 

Dopo averlo provato per undici giorni posso solo affermare che il futuro sa davvero di poco.
Come prepararlo
Prima di lanciare il Soylent, Rhinehart ha vissuto per un mese nutrendosi soltanto del «beverone»: «Mi sento come l’uomo da sei milioni di dollari. Il mio fisico è migliorato, la pelle è più pura, i denti più bianchi, i capelli più folti e anche la forfora è sparita», ha annunciato sul suo blog dopo l’«esperimento». Non si capisce se c’è da essere contenti per lui o dispiacersi per come stava prima. Ma neppure la prospettiva di un miracolo corporeo riesce a convertirmi a un regime di solo beverone. Decido di seguire i consigli - online ci sono numerosi forum - di chi lo usa come un sostitutivo dei pasti veloci: per me la cena, che cade in mezzo all’orario di lavoro. La preparazione è semplicissima: un misurino di polvere, due misurini d’acqua. Le prime versioni prevedevano l’aggiunta di olio vegetale, la formula attuale è ancora più pratica e il grasso è amalgamato nella base. Si mescola con il frullatore e il pasto è pronto.

Sapore di gesso e mal di testa
Il risultato è l’equivalente di un bicchierone di composto granuloso, con un odore a metà tra le caramelle mou e il preparato per budini. Corrisponde più o meno a 550 calorie, circa un terzo del fabbisogno calorico giornaliero per una donna adulta (e poco sportiva). Lo bevo a piccoli sorsi in un quarto d’ora: è meno dolce di quanto mi aspettassi e non del tutto spiacevole. Il problema è il retrogusto: sembra di aver masticato del gesso. E il vago senso di nausea dopo l’assunzione. A cui si aggiunge poco più tardi un leggero mal di testa. Niente paura, assicurano le istruzioni: «Come ogni variazione nella dieta, mangiare Soylent può provocare effetti collaterali come flatulenza, gonfiore addominale e mal di testa finché il vostro corpo non si sarà adattato».

Perché mangiarlo
Viene da chiedersi perché mangiarlo. Rhinehart nel suo blog lo spiega così: «Il cibo è il fossile dell’energia umana», cioè un meccanismo estremamente dispendioso e inefficiente per accumularla. «Non sopportavo il tempo, i soldi, l’impegno per comprarlo, prepararlo, consumarlo e poi pulire che richiedeva». Per lui l’«ottimizzazione» dei processi di vita è un’ossessione, tanto che usa lo stesso approccio all’abbigliamento: alterna due paia di jeans e delle magliette di poliestere che compra su Amazon, indossa per qualche settimana e poi regala. Se prendono un cattivo odore, le mette per un po’ nel freezer: «Bastano un paio d’ore e scompare - ha raccontato al New Yorker - nel frattempo mi copro con un asciugamano». 
In effetti, la praticità del Soylent è innegabile: è facile da portare con sé e si può bere davanti al computer o durante una riunione senza dover interrompere il lavoro. Peccato che chiunque incontri mi dica che ci sono modi migliori per dimagrire. A niente serve spiegare che non è la sua funzione, noi italiani lo «rileggiamo» subito come una dieta: è l’unica cosa che ai nostri occhi possa giustificare la rinuncia a mangiare. Per noi il cibo è piacere, storia, tradizione, affetti. C’è un solo ideale per il quale riusciamo a privarci di tutto questo ed è comunque «estetico»: la bellezza del corpo. Come per la moda, la praticità è l’ultimo dei nostri pensieri.

Una noia mortale
Dopo dieci giorni di beverone gli effetti collaterali sono scemati. Berlo di fronte al pc è diventato un automatismo. Il mio peso è rimasto sostanzialmente stabile e fisicamente mi sento bene. I giorni più difficili sono quelli in cui non lavoro e lo sposto a pranzo per garantirmi almeno una cena in compagnia. Il Soylent è di una noia mortale. A fine pomeriggio, con la sensazione di avere un buco al posto dello stomaco mi avvento sull’aperitivo (il liquido sazia perché lo occupa velocemente, ma poi altrettanto velocemente lo lascia vuoto). L’undicesimo giorno rinuncio del tutto al cibo e lo sostituisco con il beverone. Non riesco a non pensare a una ricetta del 1891 di Pellegrino Artusi: i muscoli (le cozze) ripieni. Sono l’antitesi della praticità: una lunga preparazione per rendere più nutriente un alimento che sarebbe buono di per sé. Oggi le vedo come un gesto di poesia in cucina.

La cancellazione dell’umano
Nella nostra società, in cui la fame di massa non è più un problema, il cibo è diventato un modo per dire chi siamo: colti gourmet, etici (vegetariani e vegani), salutisti, cultori del corpo (con diete o integratori), cosmopoliti amanti della cucina «globish». Il Soylent occupa la casella della nuova efficienza digitale. «Ma così riduce l’alimentazione, che è cultura, desiderio e socialità, a pura nutrizione, una funzione fisiologica - nota l’antropologo Marino Niola, autore di Homo Dieteticus (Il Mulino) -. E chi se ne nutre diventa mera forza lavoro». 
Se l’uomo è ciò che mangia, il Soylent è la cancellazione dell’umano. 

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