martedì 26 giugno 2012

ROMANZI AMERICANI. VINCENZI M., "Il mio romanzo che crede ancora nel sogno americano". Intervista a Joe Lansdale, autore di Acqua buia, LA REPUBBLICA, 8 giugno 2012

In fondo alla palude, insozzato dal fango, scheggiato dal razzismo, dall'odio e dalla violenza resiste, anzi rinasce, quel che resta del sogno americano. A regalargli una spruzzata di vita, sangue nuovo, a far battere forte il cuore, ci pensa Joe R. Lansdale con il suo Acqua Buia (Einaudi, Stile Libero) l'ultimo libro salutato negli Stati Uniti come il suo capolavoro, "erede diretto", per dirla con le parole del New York Times, di Mark Twain e John Steinbeck. Un romanzo che corre sul consueto scenario del Texas orientale ai tempi della Grande Depressione ma che ha il respiro universale come solo le opere migliori sanno avere. Sino a creare una sorta di non luogo, di non tempo che ha la forza di parlare a tutti noi, del nostro oggi. Di dare un volto alle nostre paure, anche quelle più segrete. Con l'ineguagliabile pregio, grazie al convincente affresco dei personaggi e al ritmo della storia, di non farsi travolgere dal pessimismo, ma anzi di indicare la strada per uscire dall'intricata foresta del nostro scontento. Con la forza del "sogno e della speranza", come racconta lui stesso di passaggio in Italia.



Qui da noi lei è da tempo un autore di culto, consacrato - come si usa dire - da critica e pubblico. Leggendo le recensioni dei giornali americani si ha la sensazione che con Acqua Buia abbia definitivamente conquistato anche gli Stati Uniti. Concorda, è il suo miglior libro?
"Sono sempre stato fortunato e benvoluto, ma certo questo è il romanzo che ha avuto l'accoglienza più calorosa
e anche se non dovrei essere io a dirlo: sì, penso che sia il mio miglior libro. Volevo realizzare una mitologia realistica. Prendere spunto dai grandi classici: l'Odissea, ma anche Giasone e gli Argonauti. Ci ho messo molto lavoro e fatica ma sono felice di averlo scritto".

Il romanzo ha il passo di una favola, benché noir, e ancora una volta i protagonisti sono ragazzi. Perché li usa così spesso? "Mi piace osservare la realtà con lo sguardo dei bambini o comunque dei giovani. È una prospettiva inedita, nuova. La crescita è quel momento affascinante e irripetibile in cui scopri che quasi tutto è diverso da come lo intendevi: non dico meglio o peggio, dico diverso. È in questa fase che si smarrisce l'innocenza e si acquista lo stupore. È forse il momento più entusiasmante della vita di un uomo. In fondo giovani e scrittori sono uguali".

In che senso?"È il vero segreto di chi scrive: non crescere mai, non perdere mai lo sguardo dei ragazzi. Penso, proprio adesso che è arrivata la notizia della sua morte, ad un maestro come Ray Bradbury: lui è uno degli esempi migliori di quel che dico, non ha mai smarrito l'occhio del bambino. Ed è quello che cerco di fare io: ogni mattina mi stupisco del giorno che verrà e cerco nuove esperienze".

VIDEO: "Il Texas dalla mia veranda" 1

Nel libro c'è una figura a metà tra incubo e realtà, una sorta di orco (ancora la fiaba): Skunk, il killer dei boschi. Come le è venuto in mente?"È un'esperienza comune alla natura umana, figure del genere si trovano in tantissime tradizioni popolari: servono a dare un volto a tutte le nostre paure: volevo rappresentare il Male assoluto".

C'è poi, a fare da sfondo ma in realtà vera protagonista, la Grande depressione. Perché?"Mio padre aveva 42 anni più di me, mio fratello 17, mia nonna addirittura aveva visto il Selvaggio West e la Grande depressione è il momento di passaggio tra la vecchia epoca dei pioneri e l'età moderna: i miei sono tutte persone a cui piace raccontare storie, così io sono cresciuto immerso in quell'atmosfera. In più quando ero piccolo, la mia famiglia era molto povera e dunque è facile per me parlare con la voce di chi vive durante una crisi, so cosa si prova. Inoltre invecchiando si tende a vivere nel passato, a guardare alle proprie origini, così scrivo molti dei miei libri parlando di quel tempo. Le epoche così dense sono sempre rappresentative, universali".

Epoca che poi offre inevitabili analogie con oggi."Certo, anche se per fortuna rispetto a quello che successe negli Usa allora siamo ancora dentro la bambagia. Ma inizio a vedere intorno a me la disperazione di chi da un giorno all'altro non ha più il lavoro. Anche se adesso sono una sorta di privilegiato infatti mi sento sempre un operaio della scrittura".

Dalla crisi a un altro nodo cruciale dell'America di ieri e forse di oggi: il razzismo, questa volta accompagnato anche dall'intolleranza verso i gay, qui rappresentati dai uno dei giovani protagonisti."Ho inserito questi temi perché mi sta molto a cuore la giustizia verso la gente in generale. Giustizia e uguaglianza sono fondamentali per una società moderna e sana. Ai tempi del romanzo essere gay era un rischio vero, fare outing avrebbe comportato il linciaggio quasi sicuro. Come per i neri c'erano barriere fisiche, che era impossibile superare, linee invisibili ma potentissime che limitavano la vita delle persone".

L'America di oggi è migliorata in questo aspetto? "Certo, il razzismo c'è ancora, così come sopravvivono molti pregiudizi ma sono stati fatti notevoli passi avanti: basta pensare a Obama e al suo appoggio verso i matrimoni gay. Il fatto poi che questa cosa gli abbia fatto perdere consenso all'interno della comunità nera, molto religiosa, è un'ironia della sorte, che serve a dire come spesso Dio venga usato impropriamente, come una clava".

Che ne pensa del lavoro svolto da Obama?"Io sono soddisfatto di quello che ha fatto e sono convinto che alla fine riuscirà ad essere rieletto. Certo non è perfetto, io l'avevo detto ai miei amici: ragazzi non è mica il Messia, non carichiamolo di troppe aspettative. Tanto più che gli altri, i Repubblicani, ci hanno messo otto anni a buttarci nel baratro dove ci ha trovato il nuovo presidente. Basti pensare alle tasse, con la crisi che c'è loro le vogliono abbassare ai più ricchi, mentre sarebbe giusto che quelli più benestanti si facessero carico dei problemi della società. Io, che non sono miliardario ma sto bene, sarei felice di pagare di più per dare una mano al mio Paese".

Acqua Buia, senza rivelarne la trama, è alla fine un libro sui sogni e sulla voglia di realizzarli. Lei crede ancora al sogno americano come modello di sviluppo?"Sì, ci credo tantissimo. Sono un grande sostenitore dell'American dream: io l'ho vissuto e lo sto vivendo sulla mia pelle, ne sono uno degli esempi. Ma bisogna fare attenzione, ricordarsi che non è una promessa che piove dal cielo, ma è un'opportunità che bisogna saper cogliere. Tutti meriterebbero in teoria, ma non tutti ci riescono: dipende dalla volontà, da un pizzico di fortuna e certo dalla capacità. Gli Stati Uniti, con tutti i loro molteplici difetti, hanno in sé questa risorsa universale, epocale, che è in grado di cambiare direzione alle storie individuali e a quelle dell'intero Paese da un momento all'altro".

Ma forse ora, con la crisi, la speranza di cui lei parla è più difficile da alimentare. Non crede?"È vero, la gente deve affrontare molte difficoltà, la strada non è in discesa per nessuno. Forse è venuta un po' meno la luce brillante della promessa, ma l'essenza del Sogno americano è viva ed è ancora la nostra arma migliore: dobbiamo sempre ricordarci che tutti abbiamo o avremo la nostra opportunità. Ed è quello che mi piace raccontare nei miei libri".
(08 giugno 2012

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