lunedì 20 agosto 2012

IL CASO ASSANGE E LA PREPOTENZA USA. MARCELLI F., Julian Assange e la prepotenza imperiale, IL FATTO, 18 agosto 2012

Come ci insegna la storia italiana più o meno recente, tra stragi impunite, trattative con la mafia, ecc., nel segreto di Stato si celano le peggiori nefandezze. Non sarà quindi mai sufficientemente lodato il lavoro minuzioso e utile con il quale Julien Assange ha saputo mettere in piazza le trame e i segreti della diplomazia pubblica e privata, mettendo alla berlina governi, banche e imprese multinazionali. Dalle rivelazioni su stragi ed abusi commessi dalle forze armate occidentali, al disvelamento di retroscena diplomatici e di altro genere che gettano una luce veritiera sul modo di pensare e di operare di chi detiene il potere in questo mondo.

Fabio Marcelli è ricercatore dell’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR, e dirigente dell’Associazione dei giuristi democratici a livello nazionale, europeo e internazionale

Costoro ovviamente se la sono legata al dito. Infatti per loro trasparenza e libertà di espressione vanno bene solo se possono essere applicate come scusa per minare indipendenza e sovranità nazionale dei Paesi in cerca di un proprio cammino autonomo di liberazione, come Cuba (con tanti rallegramenti agli allocchi che continuano a cascarci). Quando invece sono in gioco i loro interessi, i “democratici” al potere in Occidente tirano fuori il loro vero volto aggressivo e prepotente. E tanti saluti alla libertà di informazione e alla trasparenza…
Dopo essersi inventata di sana pianta una montatura che fa acqua lontano un miglio, basata su di una storia di presunta violenza sessuale (inventandosi l’arzigogolata fattispecie di rapporto sessuale consensuale ma non protetto) tanto per renderla politically correct, hanno scatenato i loro segugi e mastini in giro per il mondo. E stavano per mettere le mani su Assange al fine di trasferirlo in qualche galera a tempo indeterminato. Senonché, con decisione ineccepibile e coraggiosa, il governo dell’Ecuador ha deciso di concedergli asilo politico, sia nella sede diplomatica di Londra che nel Paese.
Il governo di Londra, che si guardò bene dall’estradare a suo tempo il criminale contro l’umanità Pinochet in Spagna, minaccia in modo arrogante di assaltare l’ambasciata. E’ chiaro che un’eventuale irruzione di polizia e commandos nella sede diplomatica per impadronirsi di Assange costituirebbe, come affermato da Domenico Gallo nel manifesto del 17 agosto, un’evidente violazione del principio di inviolabilità delle sedi diplomatiche. Si tratterebbe di un grave illecito internazionale, vietato a chiare lettere dall’art. 22, primo comma, della Convenzione sulle relazioni diplomatiche firmata a Vienna il 18 aprile 1961. Il testo di tale disposizione, che occorre ritenere racchiuda e codifichi un principio fondamentale del diritto internazionale consuetudinario, è il seguente: “Le stanze della missione sono inviolabili. Senza il consenso del capomissione, è vietato agli agenti dello Stato accreditatario accedere alle stesse”. E’ altrettanto chiaro che Assange ha diritto all’asilo politico perché è ingiustamente perseguitato per il suo fondamentale diritto alla libera espressione e comunicazione del pensiero. Si applica pertanto al coraggioso giornalista la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Come pure si applica l’ampia e esemplare previsione di cui all’art. 41 della nuova Costituzione dell’Ecuador del 2008: “ Se reconocen los derechos de asilo y refugio, de acuerdo con la ley y los instrumentos internacionales de derechos humanos. Las personas que se encuentren en condición de asilo o refugio gozarán de protección especial que garantice el pleno ejercicio de sus derechos. El Estado respetará y garantizará el principio de no principio de no devolución, además de la asistencia humanitaria y jurídica de emergencia. No se aplicará a las personas solicitantes de asilo o refugio sanciones penales por el hecho de su ingreso o de su permanencia en situación de irregularidad. El Estado, de manera excepcional y cuando las circunstancias lo ameriten, reconocerá a un colectivo el estatuto de refugiado, de acuerdo con la ley”.
Come argomentato dal ministro degli esteri dell’Ecuador, Ricardo Patiño, non ci sono garanzie di un processo equo in Svezia, né si può escludere che venga decisa in quest’ultimo Paese l’estradizione di Assange verso gli Stati Uniti. Interessante anche l’argomentazione svolta rispetto alla mancata indipendenza dei pubblici ministeri in Svezia, in quanto scelti dal governo (un’argomentazione utile anche per il dibattito sul rapporto tra politica e magistratura in Italia, messo in auge dal buon Bunga Bunga e rinverdito dall’ottimo Napolitano).
Dobbiamo essere tutti profondamente grati sia a Julien che al governo del presidente Correa. Il primo, perché attraverso l’attività di Wikileaks ha concretizzato il tema dell’informazione libera e completa cui abbiamo tutti diritto. Il secondo, perché con la decisione di concedere asilo a Julien, ha dimostrato come i Paesi della nuova America Latina, fra i quali l’Ecuador è uno dei più avanzati e interessanti, abbiano a cuore in modo effettivo e non ipocrita democrazia e diritti umani e non siano più disposti a seguire ricatti e pressioni dei sedicenti padroni del mondo. Seguendo, in questo, l’esempio di Cuba, che avrà tanti difetti, ma non quello di farsi mettere i piedi sulla testa da questi fallimentari, bugiardi e insopportabili padroni del mondo. I cui servi sciocchi hanno oggi nuove occasioni di riflessione.

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